1929 e dintorni..
L’età dell’oro in America…del jazz e del
proibizionismo, del cavallo di ferro e della grande euforia: tutto va a
gonfie vele per una delle vincitrici della Grande Guerra che, proprio in
quegli anni, scavalcherà la Cina e diventerà la prima potenza mondiale.
Poi di colpo il Grande Crollo: 29 ottobre 1929, il Black
Tuesday, la borsa americana crolla del 12%, inizia la Grande Depressione
che durerà 10 anni e verrà risolta dal secondo conflitto mondiale.
Gli
effetti si fanno sentire in Europa e pure in Italia, tant’è che nel 1936
(in pieno regime fascista) viene emanata la prima Legge bancaria (verrà
modificata appena nel 1993). Nasce la specializzazione del credito,
ovvero le banche non possono più “fare tutto” ma vengono divise tra
aziende che erogano finanziamenti a breve termine (fino a 18 mesi) ed
istituti speciali che oltre ad operare su scadenze più lunghe possono
operare sui mercati. Si cerca quindi di separare la funzione sociale
delle banche: attingere capitali e prestarli ad imprese e privati, da
quella commerciale: operare sui mercati con fini lucrativi e
maggiormente remunerativi per gli azionisti.
Nel nostro paese
vige un’altra peculiarità: le imprese di assicurazione sono obbligate ad
investire una parte delle loro riserve in titoli di stato cioè a
comprare titoli di debito pubblico, esenti da rischio e con rendimento
minimo ma garantito.
Questa situazione perdura fino al 2008
quando uno stato sovrano (l’Irlanda) dichiara di non essere più in grado
di garantire il pagamento del proprio debito pubblico.
Per la
prima volta nei mercati finanziari si assiste ad un possibile default
(fallimento) di un’economia occidentale sviluppata e politicamente
stabile.
Per i mercati finanziari si apre una nuova era con
conseguenze che colpiranno indistintamente tutti, anche coloro che erano
avversi al rischio o addirittura non possessori di attività
finanziarie.
Si assiste ad un vero e proprio shock finanziario,
mai nel corso di 80 anni uno stato sovrano aveva apertamente dichiarato
di non avere i soldi per pagare i propri debiti. Si apre la crisi
europea e si sparge il contagio: la Grecia sarà la seconda economia
europea a sbandierare le proprie difficoltà e dopo di lei sarà la volta
di Portogallo, Spagna, Italia, Cipro e Slovenia.
I possessori di
titoli di stato ossia di obbligazioni emesse dai governi europei vedono
scendere vertiginosamente i prezzi di questi assets poiché tutti i grossi
investitori (fondi, assicurazioni, banche) cominciano a vendere per
evitare possibili perdite.
Btp acquistati a 100 nel giro di una
settimana valgono 80 con una perdita in conto capitale pari al 20%. Si
tratta di un fenomeno storico, si tolgono le certezze (e le
tranquillità) a quella moltitudine di persone che investivano i loro
piccoli risparmi nei titoli di stato poiché sicuri e privi di rischio.
Lo
spread tra Btp e Bund tocca un massimo di 600 punti, ovvero i titoli
italiani diventano talmente pericolosi da rendere il 6% in più di quelli
tedeschi. Viene prezzato il rischio.
La gente assiste inerme:
chi vende per ripararsi da danni anche psicologici (il pensiero della
perdita scava come una goccia pensieri e carattere facendoci assumere
atteggiamenti negativi), chi cerca consigli rasserenanti, ma purtroppo
pochi avranno la tenacia di mantenere aperte le posizioni per 5 anni e
di guadagnarci sopra.
Le istituzioni finanziarie (le Banche
Centrali) intervengono in maniera diversa: quella americana cominicia ad
acquistare titoli di stato e obbligazioni legate ai mutui per innondare
il mercato di liquidità, per mantenere vivi gli stimoli all’economia,
ovvero non far mancare soldi ad imprese e privati.
In Europa la
Bce si muove su di un altro terreno: la visione tedesca fa si che si
privilegi la guerra all’inflazione, per cui i tassi di interesse non
vengono abbassati e non si mettono in campo misure di carattere
straordinario.
L’economia si inceppa, la funzione sociale delle banche
come strumento di collegamento tra economia e imprese scompare.
Gli
investimenti si riducono e la crisi comincia ad estendersi in maniera
esponenziale travolgendo tutto e tutti: mutui, prestiti, salari, costo
della vita….non si salva nulla.
Oltre il danno segue la beffa: le banche
non finanziano non mettono più moneta in circolazione perché imbottite
di titoli di stato di paesi sovrani (si pensi alla Germania e ai suoi
interessi economici in Grecia), cominciano ad ascrivere a bilancio delle
perdite. Perdite dovute al crollo dei prezzi di titoli ritenuti, fino a
quel momento, privi di rischi. Le aziende di credito cominciano a
richiedere il rientro dei capitali prestati ad imprese e privati (per
ottenere liquidità) mettendo in croce imprenditori e famiglie. I mutui
pur con tassi bassi hanno piccolissime percentuali di erogazione (poiché
sono “venduti” con spread ai massimi livelli), con conseguente crollo
del settore immobiliare. I rubinetti sgocciolano liquidità, l’attività
manifatturiera si ferma, l’Europa diventa un paese virtuoso ma morente.
Negli Usa nonostante la disoccupazione arrivi a sfiorare il 10%
il Governo sostiene le sue imprese ed i suoi cittadini.
La
situazione cambia quando Draghi si insedia al vertice della Bce, la
prima mossa è quella di tagliare i tassi di interesse e garantire alle
banche europee operazioni di rifinanziamento all’1%. Tali misure prese
per stimolare l’economia sono frenate dai banchieri che invece di
finanziare imprese e privati investono in titoli di stato, facendo
scendere i rendimenti ed aumentando i prezzi, lucrando sulla differenza.
Quindi la liquidità messa a disposizione della Banca Centrale Europea
viene trattenuta dalle banche che anziché stimolare le attività
produttive compiono operazioni di trading per arricchire i propri
bilanci.
Parafrasando T.S. Elliot “novembre è il più crudele dei
mesi”, sicuramente per la dinamica del credito: i prestiti ai privati
sono scesi del 4,3 % (fonte Banca d’Italia); tuttavia mentre quelli alle
famiglie si riducono dell’ 1,5%, quelli alle imprese si sono ridotti
(sempre su base annua) fino al 6 per cento.
Il credit crunch (la
stretta del credito) continua quindi a soffocare l’economia, la Cgia di
Mestre segnala come il nord-est sia una delle zone più colpite da tale
fenomeno con punte massime registrate a Trieste (-8%), seguite da Rovigo
e Trento (-6,4%).
Le banche chiudendo i rubinetti del credito non
consentono ad imprese sane di mantenere la propria attività fisiologica
e, il più delle volte, obbligandole al rientro delle somme esposte le
mettono definitivamente in ginocchio decretandone la chiusura.
Solo
misure straordinarie, ovvero una politica europea che andasse in
contrasto con la cancelliera Merkel ed “autorizzasse” Draghi ad
interventi innovativi, consentirebbe alle imprese di ripartire e
trainare quella ripresa tanto invocata che ha impoverito tutta l’Europa
nell’ultimo lustro….auf wiedersehen…
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