giovedì 16 gennaio 2014

Corner K -Weekly Pillows-

1929 e dintorni..

L’età dell’oro in America…del jazz e del proibizionismo, del cavallo di ferro e della grande euforia: tutto va a gonfie vele per una delle vincitrici della Grande Guerra che, proprio in quegli anni, scavalcherà la Cina e diventerà la prima potenza mondiale.
Poi di colpo il Grande Crollo: 29 ottobre 1929, il Black Tuesday, la borsa americana crolla del 12%, inizia la Grande Depressione che durerà 10 anni e verrà risolta dal secondo conflitto mondiale. 
Gli effetti si fanno sentire in Europa e pure in Italia, tant’è che nel 1936 (in pieno regime fascista) viene emanata la prima Legge bancaria (verrà modificata appena nel 1993). Nasce la specializzazione del credito, ovvero le banche non possono più “fare tutto” ma vengono divise tra aziende che erogano finanziamenti a breve termine (fino a 18 mesi) ed istituti speciali che oltre ad operare su scadenze più lunghe possono operare sui mercati. Si cerca quindi di separare la funzione sociale delle banche: attingere capitali e prestarli ad imprese e privati, da quella commerciale: operare sui mercati con fini lucrativi e maggiormente remunerativi per gli azionisti.

Nel nostro paese vige un’altra peculiarità: le imprese di assicurazione sono obbligate ad investire una parte delle loro riserve in titoli di stato cioè a comprare titoli di debito pubblico, esenti da rischio e con rendimento minimo ma garantito.
Questa situazione perdura fino al 2008 quando uno stato sovrano (l’Irlanda) dichiara di non essere più in grado di garantire il pagamento del proprio debito pubblico.
Per la prima volta nei mercati finanziari si assiste ad un possibile default (fallimento) di un’economia occidentale sviluppata e politicamente stabile.
Per i mercati finanziari si apre una nuova era con conseguenze che colpiranno indistintamente tutti, anche coloro che erano avversi al rischio o addirittura non possessori di attività finanziarie.
Si assiste ad un vero e proprio shock finanziario, mai nel corso di 80 anni uno stato sovrano aveva apertamente dichiarato di non avere i soldi per pagare i propri debiti. Si apre la crisi europea e si sparge il contagio: la Grecia sarà la seconda economia europea a sbandierare le proprie difficoltà e dopo di lei sarà la volta di Portogallo, Spagna, Italia, Cipro e Slovenia.
I possessori di titoli di stato ossia di obbligazioni emesse dai governi europei vedono scendere vertiginosamente i prezzi di questi assets poiché tutti i grossi investitori (fondi, assicurazioni, banche) cominciano a vendere per evitare possibili perdite. 
Btp acquistati a 100 nel giro di una settimana valgono 80 con una perdita in conto capitale pari al 20%. Si tratta di un fenomeno storico, si tolgono le certezze (e le tranquillità) a quella moltitudine di persone che investivano i loro piccoli risparmi nei titoli di stato poiché sicuri e privi di rischio.
Lo spread tra Btp e Bund tocca un massimo di 600 punti, ovvero i titoli italiani diventano talmente pericolosi da rendere il 6% in più di quelli tedeschi. Viene prezzato il rischio.
La gente assiste inerme: chi vende per ripararsi da danni anche psicologici (il pensiero della perdita scava come una goccia pensieri e carattere facendoci assumere atteggiamenti negativi), chi cerca consigli rasserenanti, ma purtroppo pochi avranno la tenacia di mantenere aperte le posizioni per 5 anni e di guadagnarci sopra.
Le istituzioni finanziarie (le Banche Centrali) intervengono in maniera diversa: quella americana cominicia ad acquistare titoli di stato e obbligazioni legate ai mutui per innondare il mercato di liquidità, per mantenere vivi gli stimoli all’economia, ovvero non far mancare soldi ad imprese e privati.
In Europa la Bce si muove su di un altro terreno: la visione tedesca fa si che si privilegi la guerra all’inflazione, per cui i tassi di interesse non vengono abbassati e non si mettono in campo misure di carattere straordinario. 
L’economia si inceppa, la funzione sociale delle banche come strumento di collegamento tra economia e imprese scompare. 
Gli investimenti si riducono e la crisi comincia ad estendersi in maniera esponenziale travolgendo tutto e tutti: mutui, prestiti, salari, costo della vita….non si salva nulla. 
Oltre il danno segue la beffa: le banche non finanziano non mettono più moneta in circolazione perché imbottite di titoli di stato di paesi sovrani (si pensi alla Germania e ai suoi interessi economici in Grecia), cominciano ad ascrivere a bilancio delle perdite. Perdite dovute al crollo dei prezzi di titoli ritenuti, fino a quel momento, privi di rischi. Le aziende di credito cominciano a richiedere il rientro dei capitali prestati ad imprese e privati (per ottenere liquidità) mettendo in croce imprenditori e famiglie. I mutui pur con tassi bassi hanno piccolissime percentuali di erogazione (poiché sono “venduti” con spread ai massimi livelli), con conseguente crollo del settore immobiliare. I rubinetti sgocciolano liquidità, l’attività manifatturiera si ferma, l’Europa diventa un paese virtuoso ma morente. 
Negli Usa nonostante la disoccupazione arrivi a sfiorare il 10% il Governo sostiene le sue imprese ed i suoi cittadini.
La situazione cambia quando Draghi si insedia al vertice della Bce, la prima mossa è quella di tagliare i tassi di interesse e garantire alle banche europee operazioni di rifinanziamento all’1%. Tali misure prese per stimolare l’economia sono frenate dai banchieri che invece di finanziare imprese e privati investono in titoli di stato, facendo scendere i rendimenti ed aumentando i prezzi, lucrando sulla differenza. 
Quindi la liquidità messa a disposizione della Banca Centrale Europea viene trattenuta dalle banche che anziché stimolare le attività produttive compiono operazioni di trading per arricchire i propri bilanci.
Parafrasando T.S. Elliot “novembre è il più crudele dei mesi”, sicuramente per la dinamica del credito: i prestiti ai privati sono scesi del 4,3 % (fonte Banca d’Italia); tuttavia mentre quelli alle famiglie si riducono dell’ 1,5%, quelli alle imprese si sono ridotti (sempre su base annua) fino al 6 per cento.
Il credit crunch (la stretta del credito) continua quindi a soffocare l’economia, la Cgia di Mestre segnala come il nord-est sia una delle zone più colpite da tale fenomeno con punte massime registrate a Trieste (-8%), seguite da Rovigo e Trento (-6,4%). 
Le banche chiudendo i rubinetti del credito non consentono ad imprese sane di mantenere la propria attività fisiologica e, il più delle volte, obbligandole al rientro delle somme esposte le mettono definitivamente in ginocchio decretandone la chiusura.
Solo misure straordinarie, ovvero una politica europea che andasse in contrasto con la cancelliera Merkel ed “autorizzasse” Draghi ad interventi innovativi, consentirebbe alle imprese di ripartire e trainare quella ripresa tanto invocata che ha impoverito tutta l’Europa nell’ultimo lustro….auf wiedersehen…

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