giovedì 16 febbraio 2017

Il Ballo Degli Studenti 2026



È arrivato il momento.
Prima maledetto, poi mal digerito fino a metabolizzarlo; è come quando dici "ho aspettato tanto questo istante" che non vuol sempre dire che hai atteso qualcosa di bello. 
Pensa ad esempio ad un appuntamento per una radiografia nella sanità pubblica, aspetti quel momento per molto, troppo, tempo ma nella fatidica data non ti emozioni particolarmente, non esulti. 
O come quando dici "ti amo troppo" sembra bello ma non è un gran segnale; mai fidarsi del troppo. A Natale quando sei spiaggiato sul divano dopo il panettone, e hai dei movimenti interni al tuo stomaco incontrollabili dici, magari anche con momentanea soddisfazione, "ho mangiato troppo". Sai che i tuoi minuti di veglia sono prossimi alle dita di una mano, ma non potrai schiacciare un meritato pisolino prima che il pranzo si riproponga in nausea e rutti imbarazzanti, perché tua sorella che non sai dove trova energia aizzerà i bambini per la fottuta tombola che detesti con tutte le forze, ma "i bambini aspettano tanto questo momento" dirà lei. Carogna.
Quindi, in generale, diffido nell' "aspettare tanto questo istante" e nel "troppo".

Sta di fatto che in questa mia seconda patria usano scimmiottare gli yankee e a primavera inoltrata, prima della preparazione agli esami dei liceali in dirittura d'arrivo, organizzano il Gran Ballo Degli Studenti, maiuscole ironiche.
Nelle ultime settimane sono l'unico a casa che ha mantenuto la normale razionalità che regna solitamente tra di noi. Mia moglie, gran donna, dotata di intelligenza superiore alla media da due settimane ha il cervello nella gelatina, oscilla,reagisce ma resta fermo, a questo maledetto sabato ventiquattro maggio 2026.
Lei, la mia BAMBINA, davanti a me contiene il suo entusiasmo, resta la posata adolescente che in effetti è. 
Ma è da gennaio circa che non sta più nella pelle, da quando quel ceffo che ho visto passare anche a casa mia e che saluto distrattamente le ha chiesto se può accompagnarla al Gran Ballo (maiuscole ironiche).
Biondino insipido, costantemente con il casco da bicicletta in testa, vestito come un pirla, stampato un finto sorriso. Finto perché non può essere simpatico, dai modi educati sicuramente falsi, una volta mi ha detto che gioca a basket, sport che amo, pensa che sono nato ieri, fa il bravo...

Sappi biondino, anche se non ti ho quasi mai rivolto la parola, sei nei miei pensieri da prima che nascessi ed è proprio per questo che ho chiesto alla mia BAMBINA di invitarti ad una cena venerdì ventitre Maggio 2026.

Almeno venti-venticinque anni di mantecazione dell'evento ma solo sei mesi per preparare il tutto. Tutto è andato per il meglio, dal giorno: il venerdì, il nostro giorno preferito, la nostra sera preferita, al viaggio.
Nostro si, ignaro minorenne, perché da casa mia, dall'estremo nord est italiano, precisamente dall'aereoporto di Ronchi dei Legionari sono partiti gli amici di sempre, gli zii aquisiti della mia BAMBINA che condivideranno la cena.
Non ti devi preoccupare se hai la coscienza in ordine, sani principi e propositi, e una predisposizione al rispetto dell'anzianità. Ti dò anche un consiglio ascolta, obbedisci e parla poco.

Si apre la porta automatica degli arrivi vedo arrivare la mia squadra, Sandro detto Botro, con i suoi abiti da anziano, gli stessi di vent'anni fa, il cappello improponibile oggi è una specie di coppola grigia, un bagaglio a mano costituito da una specie di borsa da medico in pelle chiara.
Nino invece è quello più facile da individuare la sua piccola testa glabra sui suoi due metri spicca dalla folla di viaggiatori, sobrio nei suoi jeans, camicia e maglioncino di cotone, unico vezzo da sempre le scarpe: rigorosamente gialle, da giovane delle sneakers ora un mocassino che sembra fatto di panno.
Con gli occhi attaccati a chissà quale diavoleria tecnologica arriva anche Sergio, per tutti Neuro, sempre stato instabile nelle sue reazioni, tra i tre è il viaggiatore più sgamato, abituato dal suo lavoro e anche dai suoi molti interessi che lo portano in giro per il mondo. Neuro è l'unico che ha visto tutte le mie case in questi anni di migrazione.
Manca Pardo. Ma non mi sorprende, Gino detto il Pardo, ci ha ormai abituato ai suoi colpi di testa.
I tre mostri mi individuano e dopo un abbraccio, Nino precisa: "Pardo, non ha voluto prendere il nostro aereo, dice di aver trovato un biglietto più a basso costo che arriva ad un piccolo aereoporto non lontano, poi prende il treno, conta di essere presente a cena".
Colpo di genio del Pardo, tombola!

Saranno miei ospiti, è gente tosta e anche a cinquant'anni un materasso a terra può sembrare l'Hilton con gli amici giusti. 
Ma prima di andare a casa decidiamo di fare un primo briefing, ovviamente al pub, davanti ad una buona birra abbiamo sempre preso le decisioni migliori.
Tolti i saluti di rito e qualche borbottio, Sergio non ha mai alzato la testa al suo smartphone/palmare/chissà cos'è, ma stavolta lo fa per una buona causa: infatti appena seduti fa uscire dall'infernale oggetto una specie di sostegno che lo mantiene a circa quarantacinque gradi e dallo schermo appare Costa, il malato immaginario.
Costantino, Costa, le ha avute tutte: dal semplice mal di schiena, dei mancamenti improvvisi, all'emorroidi. Ricordo poi un'epistassi, una deviazione del setto nasale, senza dimenticare gli infortuni sportivi.
Sta di fatto che il Costa non è partito perché parole sue: soffre di baropatia, ossia la reazione dell'organismo alla variazione della pressione atmosferica, che ovviamente viene evidenziata al decollo e all'atterraggio.
Assieme alle birre e un po' di stuzzichini, alla connessione col Costa, arriva anche l'evocazione del capitano Paf, un'entità astratta sempre presente nelle occasioni più importanti, rispettata da tutti noi. Il capitano sarà presentato anche all'insulso aspirante cavaliere della mia BAMBINA, e sarà lui a farci capire se l'inetto giovane ha qualcosa dentro.

I miei soci nonostante il viaggio non denotano segni di stanchezza, incontriamo un po' di gente, facciamo un po' di turismo enogastronomico anche se al giovedì sera non si può dire che ci sia una vita così frenetica, ma tra noi ci bastiamo e poi abbiamo un sacco di cose da dirci.
Senza renderci conto ci troviamo alle tre del mattino al cospetto di uno svogliato barista al massimo trentenne che di questi quattro per lui "vecchi" accompagnati da uno schermo acceso farebbe volentieri a meno, decidiamo di lasciarlo andare a riposare e di proseguire a piedi verso casa sapendo già che nel tragitto ci sarà la birra della staffa. 
Camminando, salutiamo il Costa che sente un po' di bruciore agli occhi che gli provoca una parvenza di emicrania, causa: il troppo tempo davanti allo schermo. Mai fidarsi del troppo.
Vediamo in fondo alla via un'insegna, trovata la nostra meta finale, a nemmeno duecento metri da casa.

Quando stiamo per entrare sentiamo una frenata improvvisa dietro a noi, dal taxi bianco esce Pardo che prima di raggiungerci contratta il prezzo come fosse ad un mercatino di Casablanca, il tassista spazientito gli fa un po' di sconto e se ne va sgommando e bestemmiando.
Abbracci, risate a volume altissimo, e solita finta mossa di pugno nei maroni, sempre quello da quarant'anni. Purtroppo e per fortuna è arrivato Pardo, senza contanti perché ha sforato con i chili del bagaglio a mano quindi ha pagato, nella fretta è salito su un treno sbagliato quindi ha pagato ed essendo arrivato molto tardi non c'era più il trasporto pubblico ha preso il taxi quindi ha pagato.
La genialata dell'aereo a basso costo è andata a farsi fottere.


Il mattino è appena nato, mia moglie e mia figlia si preparano rapidamente per uscire direzione bar, cappuccino e croissant prima di raggiungere la scrivania e il banco.
I ragazzi con tempi e modi diversi sono svegli.
Nino da sempre il più signore di tutti noi esce dalla stanza per salutare rapidamente mia moglie e la mia BAMBINA le raggiunge nel box e le ingloba in un abbraccio unico grazie alle sue braccia da ex cestista.
Sandro Botro cura la sua barbetta come fosse un'aiuola del parco di Buckingam Palace. 
Sergio smanetta sullo smartphone mentre Pardo lo provoca come sempre, ma  Neuro con l'età è migliorato e non gli dà soddisfazione.
Stabiliamo che le dieci sono un buon orario per uscire, al primo caffè inizieremo a pianificare nel dettaglio la serata.
Il tempo non ci manca e oggi abbiamo il lusso di sprecarlo.
A Sergio non è sufficiente la mia vocazione di guida turistica, e con delle informazione legate al gps propone delle strade, che ovviamente io boccio per partito preso ed orgoglio. 
Pardo solo per dar contro a Neuro mi spalleggia. 
Intanto Sandro e Nino per deformazione professionale controllano le facciate delle case, i cantieri edili, sono particolarmente attratti da delle impalcature formate da grosse travi di metallo giallo.
Ci fermiamo per una decina di minuti più o meno ogni cento metri, sono ormai quindici anni che vivo qui e non ho mai visto una città  in così continua evoluzione.
Sandro e Nino, geometri, dopo anni di lavori propri hanno deciso di lavorare assieme: studio associato ro.bo.lu.ce. Sono anni che chiediamo il perché di questo acronimo, ma niente, il segreto ha tenuto davanti a torture, minacce e molto alcool.

La prima pausa è alla fabbrica della mostarda, un locale tipico, che produce senape, mostarde e varie salsine da provare con salumi, formaggi e birra.
Nessuno, neanche per salvare le apparenze, obietta che è troppo presto per una merenda così importante. Orgoglioso dei miei ragazzi.
Una simpatica, giovane e carina cameriera arriva per prendere la nostra ordinazione, nonostante un diploma di english british pagato a peso d'oro il buon Nino non prende la parola, allora mi sento in dovere come padrone di casa di espormi a pubblico ludibrio e chiacchierare amabilmente con la signorina che ci illustra come sposare assieme i prodotti tipici del locale. Fingiamo, peraltro male, di capire tutto e ordiniamo tre piatti misti e delle birre.
Intendo intavolare il discorso di come dovrà essere organizzata la serata di come il moccioso insipido ed inutile dovrà essere trattato, ma i ragazzi fanno orecchie da mercante, sostengono che c'è tempo, "intanto passiamo la giornata".
Solleviamo i boccali intoniamo a bassa voce il nostro coro, ci guardiamo negli occhi e il primo sorso può essere deglutito.
All'arrivo del cibo, sintonizziamo l'infernale aggeggio di Sergio per avere a tavola con noi Costa, che appena vede il salame, il formaggio e la mostarda ci ricorda che: "il consumo di insaccati non fa affatto bene, favorisce malattie cardiovascolari e anche il cancro, insomma possono portare ad una morte precoce".
Nessuno molla il companatico che aveva in mano, ma tutti abbiamo l'altra sotto il tavolo.

Devo ammettere che la nostra consapevolezza è maturata, ora oltre che i vari locali, ci piace anche girare i posti, visitare luoghi più o meno conosciuti.
Ognuno di loro mi chiede una cosa interessante della città che hanno trovato su internet prima di partire quindi andiamo a scoprire delle cattedrali, piazze e soprattutto un famoso teatro sempre in grande fermento artistico. 
Proprio nel foyer si sta scatenando un anziano chitarrista con barba bianca lunga e vestiti colorati, non ho nozioni musicali e neanche un buon orecchio ma mi sembra di capire che sta chiedendo troppo al suo usurato strumento e vedendo gli atteggiamenti degli organizzatori del festival, il nonno rock ha sforato pure il suo tempo a disposizione. 
Non si scompone, va avanti a testa bassa e abbozza pure un duck dance stile Angus Young degli AC/DC, a Sandro si illuminano gli occhi ed inizia ad incoraggiare con urla stile country e sventolando un orribile foulard che teneva al collo.
Il freddo pubblico che dedicava al massimo un sorriso di tenerezza verso il vetusto musicista adesso è distratto da Sandro che parte con il suo quarantennale repertorio, mosse da grande ballerino, simulazioni di violente schitarrate e per finire il clou, il suo pezzo forte: moonwalker stile Michael Jakson e come finale la mossa del mitico lottatore americano Hulk Hogan con gli indici delle mani ad indicare il cielo.
Noi lo guardiamo con l'occhio rassegnato ma divertito, dentro di noi abbiamo il conflitto che Sandro ha già vinto: facciamo i normali cinquantenni e magari ci comodiamo ad un tavolino ad ascoltare uno più vecchio di noi o seguiamo il nostro leader artistico e scateniamo l'inferno?
La risposta la fornisce Pardo che nel suo è un genio, un genio del male, ma pur sempre un genio. Arriva con un vassoio per mano di birra della casa, il numero dei bicchieri è ampiamente sproporzionato al numero degli elementi dell'allegra brigata.
Pardo sostiene che consumando molto abbiamo più potere nel pretendere qualcosa dai gestori della festa. Vabbe'.
Siamo sotto al palco come i teen agers, e abbiamo un problema vero: Nino il nostro elemento di razionalità, sta muovendo la testa a ritmo come fosse un cantante di una metal band e simula con il braccio il movimento della criniera, che lui ha perso prima dei venticinque anni.
L'obiettivo di mettere in difficoltà gli organizzatori è stato raggiunto, infatti non si sbracciano più per interrompere il nostro personale Jimy Hendrix, anche se la sala non è più tanto piena. Probabilmente per essere metà pomeriggio garantiamo un buon incasso da soli, attendendo la serata.
Scemiamo il nostro entusiasmo, per salvare le nostre coronarie ma soprattutto quelle del nostro chitarrista che quando decide di smettere ci viene ad abbracciare.
Ci comodiamo ad a un tavolino, tra insulti e pacche, Sergio riesce ad ordinare e bere un caffè. Nel gruppo c'è grande soddisfazione per aver animato un fiacco venerdì pomeriggio, i vassoi del Pardo sono vuoti da un po' ma la gola, dato lo sforzo fisico, è da idratare. 
Sergio intanto, come sempre quando siamo a tavola chiama Costa, a connessione avvenuta provo ad organizzare la serata, alla crocifissione del giovane aspirante cavaliere della mia BAMBINA, in fondo mancano poche ore.
Appena prendo la parola arrivano un paio di birre, ovviamente devo interrompere per intonare il nostro canto, guardarci negli occhi, e deglutire il primo sorso.
Non riuscirò più ad intrecciare alcun discorso per schematizzare la serata, ma non mi preoccupo perché li conosco e ho fiducia nella nostra intesa.
Usciamo dal teatro, prima di farlo però Sergio deve interrompere il contatto col Costa che dopo i nostri balli ci vede sudati e si raccomanda di vestirci bene perché: "conciati come siamo è un attimo prendere una polmonite".

Provo sensazioni ottime, vedo i ragazzi belli carichi, non ho potuto pianificare la cottura del pivello ma so già che basterà partire e tutto sarà come sempre quando qualche nuovo "ospite" aderiva alle nostre uscite serali. Una matricola severa, che traccia il segno: dentro o fuori, il bene o il male.
Il mio countdown è iniziato, sono sempre stato puntuale anzi per le occasioni speciali cerco sempre di arrivare in netto anticipo oggi però non dipende solo da me, i ragazzi sono in vacanza e onestamente non posso forzare il rientro. 
Mando un messaggio a mia moglie e preannuncio un possibile leggero ritardo, stranamente immediata la risposta: ok, non preoccuparti.

Sergio ha sentito parlare dell'accumulatore, un pazzo furioso che trentacinque anni fa riparava biciclette nella cantina di casa sua e mentre aspettavi ti offriva una buona birra, col passare del tempo si è reso conto che vendere le birre era più remunerativo e meno faticoso. Ha spostato le bici vecchie che usava per ricambi ai lati, appeso delle vecchie lanterne al soffitto, sostituito il pittoresco caminetto con un più sicura e funzionale stufa in ghisa, e posizionato due tavolacci con quattro panche. 
Riempiti due grandi frigoriferi con bottiglie di tre tipi di birra artigianale: bionda, ambrata e scura.
Conosco bene l'accumulatore, ho visto anche la sua officina bar mutare nel tempo. 
La prima volta le panchine erano piene di vecchi vestiti e casse di vuoti a rendere, scatoloni di sottobicchieri e candelabri.
Adesso un minimo di logica c'è, almeno si può bere in pace una birra senza paura di crolli alle spalle. La birra più cara della città perché l'accumulatore è folle ma mica scemo, e questo locale strano che fa tendenza lo sfrutta al massimo.
Anticipo ai miei amici che appena entreremo ci chiederà da dove veniamo è appena risponderemo Italia lui ci ricorderà che a Busto Arsizio ha comprato il suo furgone e che a Rovereto ha dei suoi vecchi amici di un gruppo anarchico internazionale, subito dopo dovremo lasciare un ricordo in italiano sul libro delle visite. 
Tutto secondo copione.

Sarà la lunga giornata a piedi, sarà la tensione per il vicinarsi dell'incontro con l'inutile adolescente o la leggera asma allergica scatenata dal gatto dell'accumulatore ma comincio a sentire la stanchezza e la decisione di provare tutti e tre le fragranze della birra, non aiuta.
Sandro, fumettista mancato, disegna sull'album: è completamente rapito dalla sua opera in via di soluzione, dall'accumulatore che in qualche lingua gli racconta la storia della vita, dall'atmosfera del posto.
Sergio fotografa le biciclette appese  al soffitto, ma dimostra disappunto perché dato il bunker dove siamo non può immediatamente condividerle per assenza di rete.
Pardo vicino a Sandro cerca di comunicare con il gestore, e precisare che il posto è unico ma il prezzo della birra è assolutamente inadeguato, Nino si guarda in giro e mantiene una postura gobba con il collo piegato in avanti, non ho mai capito perché (ma la cosa non mi riguarda direttamente) quelli alti hanno sempre paura di battere la testa nonostante tra il loro capo e il soffitto ci sia spazio sufficiente.
Stiamo particolarmente simpatici all'oste che ci fa assaggiare della frutta sotto spirito, i vasi dalla quale estrae fragoline e pezzi di pesche sono possibili portatori di tetano e altre malattie, ma noi non siamo Costa e poi il superalcolico nel quale sono immerse sicuramente, sostiene genuinamente Sandro, le ha disinfettate. 
Non ci ha convinto ma non possiamo esimerci, non si offende mai chi offre.
Chiediamo all'accumulatore di uscire per una foto assieme e per collegarci con Costa, fare assieme il nostro coro in suo onore con lo shottino di fragole fradice di acquavite. L'uscita è un toccasana per me e Pardo anche se per motivi completamente diversi infatti lui si accende una sigaretta, io prendo una boccata d'aria che mi regola il respiro dopo il gatto.
Costa, vede Pardo fumare e gli ricorda i danni permanenti che il fumo procura mentre a me consiglia di prendere fexofenadina, loratadina o cetirizina ogni qualvolta so do dover frequentare un luogo con dei gatti.

Finalmente ci incamminiamo verso casa, siamo in ritardo, non grave ma in ritardo, Pardo sostiene che la staffa non si può saltare, ma stavolta mi impongo, nessuno dice nulla e Nino si attacca celermente al cellulare.

Già mi immagino il biondino scattare dal divano all'entrata mia e degli zii, con il terrore e il rispetto in quegli occhi che io un giorno potrei togliere con le dita della mano e friggerle assieme a delle teste di calamaro.
Siamo in prossimità del cinquantatré mio numero civico, ore ventuno precise, mezz'ora di ritardo alla cena fissata in un orario molto strano dalle abitudini locali e da quelle di mia moglie.
Non faccio in tempo ad estrarre le chiavi del garage che dal portone attiguo esce lui, che senza pause e con un unico respiro mi dice: le chiedo scusa, ma in settimana i miei genitori mi permettono di uscire fino alle 21, mi dispiace che proprio oggi lei sia stato impegnato con i suoi colleghi in un'assemblea straordinaria ma ho parlato molto con sua moglie. Buonasera e buonanotte.
Infila il suo caschetto, mi stringe la mano, salta sulla bicicletta e sparisce.

Attonito mi giro verso la mia combriccola, a stento trattengono le risate entriamo a casa e mia moglie come una teen ager scambia il cinque alto con i Giuda, la mia BAMBINA che reputavo innocente ed ingenua abbraccia e bacia tutti, ogni "grazie Zio" sento una doppia pugnalata, poi viene da me ridendo e mi abbraccia, ricambio l'abbraccio ma la stringo più forte, ha vinto lei come sempre.

Ogni riferimento a persone esistenti o fatti realmente accaduti non sono puramente casuali.
 Il bagaglio di Sandro e il bar officina dell'accumulatore.