martedì 28 giugno 2016

IL FIASCO

A Tullio e Silvio.


IL FIASCO

Chissà se Il signor Marino quando ha aperto questa bettola era poco fiducioso sul successo oppure semplicemente ha pensato di chiamarla con le cose che più si notano sulle mensole e nelle vecchie credenze massacrate dai tarli.
Sta di fatto che il Fiasco, ragione sociale: locale di mescita, è qui da una settantina d'anni e adesso ci sono io, che lavoro da solo per limare le spese.
All'inizio della sua storia questa piccola gabbia in riva al mare era niente altro che un piccolo ufficio dei pescatori, poi la folgorazione del Marino, e la trasformazione: via gli schedari, le inutilizzate macchine da scrivere e la cancelleria e dentro un calcio balilla, un paio di botti di vino, una macchinetta del caffè e un po' di salame, formaggio e vista la location (come dicono quelli bravi) del pesce azzurro sott'olio o con la cipolla.

Con il tempo i pescatori si sono spostati in zone più attrezzate al loro duro lavoro, ma il Fiasco è rimasto, qualche gestore precedente ha cercato, con scarso successo, di mutarlo in un locale Vip con ostriche e champagne, qualcuno più lungimirante ha combattuto con le carte bollate per ottenere dal demanio uno spazio esterno per poter bere un buon vino locale godendo del tramonto sul mare.
Per farla corta ora mi trovo questo chiosco con una decina di tavolini coperti da grandi ombrelloni che oltre a regalare l'ombra proteggono dagli improvvisi acquazzoni estivi.

Chiuso solo al lunedì, e neppure sempre, obiettivo del business plan è fare almeno cento giorni di buoni incassi da maggio a fine settembre.
Il merito che mi prendo è di aver aperto la porta ad una nuova clientela senza perdere i fedelissimi, e aver reso il Fiasco anche un luogo di visita turistica sfruttando internet e i social network.

La giornata tipo è sempre simile: la prima metà mattina è dedicata alla preparazione del locale, posizionare i tavoli e le sedie sempre a favore di sole, preparare gli stuzzichini e un controllo delle scorte nei frighi e del minuscolo magazzino.
Lavori di fatica interrotti da qualche ordinazione di un veloce caffè, poi al vicinarsi dell'ora di pranzo i prosecchi, vino e acciughe, cavalli di battaglia del Fiasco.

Sistemando le ultime sedie e le ambitissime sdraio vintage, noto due anziani che si avvicinano all'ultimo tavolo, quello più vicino al mare.
Solitamente detesto i clienti che con tutti i posti liberi scelgono proprio quello più lontano ma in questo caso, e non so per quale motivo, i due vecchi mi fanno tenerezza e simpatia.
Hanno facce strane che non riesco ad inquadrare, solitamente sono fisionomista, ma con loro è diverso mi basta andare a prendere i due malvasia che mi hanno chiesto per dimenticarne i connotati.
Torno al loro tavolo con i bicchieri pieni, il locale è vuoto, in maniera del tutto istintiva mi siedo con i due vecchi e in silenzio li scruto, non sorridono ma hanno visi rilassati, non sono per nulla sorpresi dalla mia improvvisa compagnia, anzi.
Uno mi ricorda Hemingway nella famosa foto con la dolcevita, l'altro ha un viso lungo e gli occhi lucidi, un baffo folto su una barba rasa e un consunto cappellino in testa.
Hemingway dice di chiamarsi Tonio, precisa che non è un diminutivo ma il suo nome di battesimo, l'altro Salvo, ma chissà perché tutti lo chiamano Lauro.
Tonio è più loquace, ma sono parole vuote, di circostanza; Salvo è arrampicato al suo bastone e sembra distaccato dal discorso, tutti e due sorseggiano il bicchiere con una certa esperienza.
Entrambi hanno un cane accucciato sotto la sedia, Fido per Lauro e Buch per Tonio.
Mi destano una curiosità morbosa, ma da loro ottengo poco, li vedo emozionati e taciturni, sono sicuro che hanno molte cose da dirmi ma percepisco reticenza.
Salvo Lauro mi dice che lui era un manovale, ma anche un contadino ha avuto una moglie ed ha tre figli, Tonio aveva una bottega ma sul lavoro preferisce glissare e anche sulla vita privata, si capisce che è stato sposato più di una volta e a me parla solo del suo primo figlio, che ultimamente ha visto poco e solo alla domenica mattina.

I bicchieri vuoti al tavolo non sono pochi, ma ne ordinano altri due, ripongo nel vassoio i "morti"per depositarli in lavastoviglie. 
Oggi mattinata magra, faccio una bozza di conto per i miei amici, decido per un forte sconto e porto gli ultimi due bicchieri, ma le sedie sono vuote, dò una passata di straccio. Tutto sommato è stato bello conoscerli anche se per poco.



venerdì 24 giugno 2016

Al bar



Quanto costa un caffè?
Per lei cinque euro.
Allora fallo per qualcun altro.

Ernesto, arzillo pensionato di banca, ogni giorno venti minuti dopo l'apertura, entra in bar e senza salutare mi fa sempre la stessa domanda, io mi faccio trovare pronto e rispondo di conseguenza, il siparietto si chiude con la sua saggia, ironica e spiritosa chiosa e un po' di spiccioli "per un gelato alla tua bimba".

Le mie giornate iniziano sempre così indipendentemente se fuori fa freddo o caldo, se la luce estiva ha già illuminato il giorno o se il gelido buio non dà tregua.
Poi le mani e la mente devono volare, tra capuccini ed espressi, brioches e la novità dei cestini alla frutta con la gelatina. Le prime due ore lavoro da solo, solo dopo arriva Cristina, ormai solo Cris per tutti i clienti del bar.

Dopo Ernesto, il ritmo è sempre lo stesso: i dipendenti delle attività vicine, alcuni studenti, e poi la truppa di mamme casalinghe che hanno consegnato i pargoli alle maestre e ora vengono a sviscerare di cucina, politica e cronaca rosa.

Tutti occupano sempre la stessa sedia e lo stesso tavolo e quando qualche cliente occasionale, quindi ignaro, arriva prima e si prende un posto scombinando le carte vedi scene di disagio, occhiatacce, febbrili attese.
Il forestiero se ne rende conto, velocizza la colazione paga ed esce, da lì parte un domino finché tutti sono finalmente alla loro postazione e l'inizio della giornata è preservato.

Il plotone di mamme è spesso coadiuvato dalla compagnia delle vedove, e anche da qualche battitore libero che spesso si aggrega per lo spietato radiogossip.
Nessuno ma proprio nessuno la passa liscia, da Mauro il calzolaio e le sue chiacchierate pratiche sessuali con la moglie in una camera da letto sempre troppo affollata, a Nosferatu il principe delle tenebre, un uomo di una quarantina d'anni di cui si sa poco allora si cerca di immaginare; l'aspetto è obiettivamente inquietante, pochi capelli sparati a caso, un mento esageratamente sporgente, occhi di un azzurro intenso e sempre spalancati, e la faccia sempre paonazza.
Vestito elegante casual, principalmente con pantaloni e giacca marroni, e sempre ai piedi delle vecchie ed usurate clarks.
Le indagini su di lui hanno dato pochissime informazioni, sembra sia un intellettuale belga, sposato con una del posto, sicuramente ha un bambino piccolo perché sulla bicicletta è posizionato un seggiolino.
È brutto, molto brutto, ma questo alone di mistero desta interesse alle megere, e le frasi più inflazionate sono: "non è bello ma è interessante" oppure la classica "è un tipo", fosse il dirimpettaio il giudizio sarebbe impietoso.

Intanto è arrivata Cris, che porta sempre allegria, saluta tutti e si ferma solo un attimo per un abbraccio ad Ernesto che intanto ha finito la lettura attenta e scrupolosa di almeno due quotidiani, ed ora butta in maniera superficiale l'occhio sulla gazzetta sportiva, prima il dovere poi il piacere.
È praticamente pronto il cambio della guardia, studenti e pettegole lasciano il posto ad impiegati ed operai, i croissant ai panini caldi, tramezzini ed insalate, il caffè a qualche birretta e ad un esercito di bottigliette d'acqua minerale.
La pausa pranzo è anche il momento dei saluti di Ernesto, che a mezzogiorno non rinuncia alla zuppa di verdure che nessuno fa come dice lui, facendo sciogliere le croste di grana e lasciando gli ortaggi a pezzettoni perché "a mangiare con la cannuccia ci penserò all'ospizio". Finita la zuppa tornerà per l'aperitivo serale.

Il pranzo ha solitamente tre cambi tavola, tempi veloci, intensi, il tutto si svolge in massimo un ora e mezza. Nel momento del conto alla cassa, Cris butta le vecchie tovagliette di carta e ne mette di nuove con tanto di sacchetto con le posate, questo lavoro lei lo chiama shift forse a memoria delle sue giovanili esperienze stagionali all'estero.
Ancora un paio di caffè per chiudere il pranzo, poi un po' di pace dove con Cris pianifichiamo i menù, riordiniamo il piccolo magazzino, rimpolpiamo i frighi e gli scaffali (lei dice refill, forse a memoria...).
La lascio dietro al bancone e vado in quello che i miei amici chiamano il giardino, niente altro che il marciapiede dove ho potuto sistemare una mensola per appoggiare i bicchieri, due tavoli di quelli alti abbinati a quattro sgabelli e una fioriera, fumo la mia unica sigaretta della giornata.
Cris vende un po' di gelati ai bambini, quelli che io continuo a chiamare ricoperti ma ora sono magnum, e poi prepara il solito latte e menta che ho visto bere solo a mia sorella e a Regina detta la talpa per i suoi spessi occhiali, proprietaria di metà degli appartamenti e dei locali della zona.
"Ciao Queen, solito green milk?" Forse a memoria...

Poco prima dell'ora dell'aperitivo, Cris parte in quarta, è il suo momento, io nonostante sia il titolare, sono un gregario.
Riempie di arachidi dei grandi vasi agli estremi del bancone, mette in bella vista i vini frizzanti, l'aperol e delle birre pregiate, taglia i tramezzini, le pizzette e i panini, riempie ciotole di patatine.
Come sempre nego a Cris di fare l'happy hour, forse a memoria...

Torna Ernesto, che alterna giornalmente l'alcolico e l'analcolico, arrivano molti miei amici che hanno lasciato l'ufficio e slacciato la cravatta, Cris è un animale da aperitivo, parla con tutti, mescola vini e liquori, incassa e ringrazia, spesso ho la sensazione di intralciarla.
Approfitto per oltrepassare il banco, mi occupo di recuperare i bicchieri e intanto faccio pubbliche relazioni, offro stuzzichini e prendo gli ordini: praticamente chiacchiero con gli amici.

Chi va a cena, chi a calcetto o in palestra.
Io, Cris ed Ernesto beviamo assieme una bibita e finiamo gli stuzzichini, sistemiamo le sedie e i tavoli, mentre Cris passa lo straccio sul pavimento. Ernesto insiste per pagare l'aperitivo ma la mano che ci dà è più che sufficiente.

Serranda chiusa, pronti per il telegiornale, Cris ci saluta "see you tomorrow", forse a memoria...io ed Ernesto andiamo verso casa sua, mi concede di parcheggiare la macchina nel suo cortile condominiale, stretta di mano e solito scambio "a domani ragioniere" "fa il bravo, barman".

Nonostante sia primavera, la mattina è fresca, il posto macchina di Ernesto è occupato dalla piccola utilitaria della figlia che vive in un paese ad ottanta chilometri e non si vede mai, fortunatamente non distante dal bar trovo un posto non a pagamento.
Entro in bar, accendo la macchina del caffè e lo scaldavivande, aspetto il fattorino del fornaio, sono passati i solito venti minuti, ma di Ernesto non c'è traccia.
Dopo poco entra la figlia, non ci conosciamo, è visibilmente provata, singhiozzando mi ordina un caffè, lo preparo. Beve, paga e se ne va.
Chiudo la cassa e la porta, riabbasso la serranda, mando un messaggio a Cris che sta ancora dormendo, le comunico che per due giorni il bar è chiuso per lutto e che la richiamerò per spiegarle meglio, non faccio in tempo a mettere il telefono in tasca che gli squilli dilaniano il silenzio di quella mattina ancora giovane.
"OMG! What's happened?"
Forse a memoria...