martedì 26 maggio 2015

PROVERBI

Avevo un amico diplomatico che spesso veniva a cena casa mia. Ogni volta mi chiedeva: cosa porto? Io rispondevo: delle baguette, delle michette, delle ciabattine o dei semplici panini. Lui puntualmente veniva a mani vuote.
Ambasciator non porta pane.

Era nettamente lo stallone piu' rappresentativo del maneggio, nessuna sella per lui, zero briglie, nessun sentiero battuto, lui e' il re e il suo compito e' solo quello di continuare la stirpe.
Da un po' di tempo pero' lo stallone Donato non sta bene e solo il suo fedele amico, lo stalliere Carlo, e' stato capace di avvicinarlo, ma anche lui dopo le solite carezze amichevoli appena  toccato il muso ha ricevuto un netto rifiuto.
Individuato il problema Carlo ha avvisato il veterinario del dolore mascellare di Donato, ma sfidando qualsiasi logica deontologica, il medico ha rifiutato la visita.
E cosi' tutti gli altri colleghi convocati dai responsabili del maneggio.
Al caval Donato non si guarda in bocca.

Il suo mondo era in equilibrio su uno scoglio a farsi baciare dal sole, tra un tuffo e qualcha bracciata tra le onde.
L'estate pero' l'aveva tradito, la pioggia deprimeva il suo essere.
Forse con questa giustificazione motivava il suo vizio della bottiglia: barbera, sangiovese, terrano o anche qualche dozzinale tinto da sangria spagnola alla sera lo accompagnavano fino al primo sonno.
Rosso di sera bel tempo si spera.

L'apicultore si chiede se e' ancora il caso di mantenere le arnie, ormai il miele e la pappa reale delle grandi produzioni fanno si che i suoi incassi siano ai minimi termini.
Ma lui ama quegli animali, li riconosce ad uno ad uno e non solo la regina facilmente rintracciabile date le dimensioni superiori.
Per qualche sbavatura della sfumatura del nero sul giallo ma soprattutto per la sua propensione al ritardo riconosce sempre Tito, la sua ape preferita.
Quando passa a controllare lui arriva sempre dopo le altre, appesantito, decolla da un fiore dopo aver copiosamente succhiato del polline.
L'ape Tito vien mangiando.

Era da tempo che lei organizzava quella serata, il vestito lungo, la prenotazione al miglior ristorante e i biglietti per il tanto aspettato concerto. L'emozione correva sulla sua schiena ma percepiva un po' di freddezza dal suo lui.
In effetti non provava la stessa sensazione anzi, il suo bel gessato blu lo indossava con piacere, il ristorante era di suo alto gradimento, ma il concerto no, quello non lo capiva, non condivideva la passione per il cantante di Furia cavallo del west.
Lui alla fine si presento' al teatro, ma a spettacolo ampiamente ultimato, la raggiunse per un cocktail nella brasserie del foyer del teatro.
Meglio tardi che Mal.

Nella campagna non c'e' un buon clima, tutti tendono a stare per conto proprio, l'egoismo impera.
I piselli chiusi nei loro bacelli si sopportano in silenzio, le fragole ormai pesanti sono chinate verso la terra, i pomodori attaccati al loro palo cercano una difficile arrampicata. Solo le ciliegie magari timidamente, ecco perche' quel colore rosso, cercano un minimo di coinvolgimento tra di loro, si incoraggiano e si tengono per mano.
Una ciliegia tira l'altra. 


La bambina passa le ore con i suoi coniglietti di pezza, i suoi giocattoli preferiti dalla culla fino ad ora.
Quando la mamma le permette di vedere la tv, si piazza sul divano e aspetta il suo mito: Bugs Bunny, il furbo divoratore di carote.
Anche da piccolina pero' ha sempre avuto chiara la differenza tra l'animale vivo, quelli di peluches e i disegni della televisione, si ispirava agli ultimi per poi ambire a gestire e curare il primo, solo talvolta tentava di chiedere: Mamma, mi compri uno vero? E la mamma rispondeva sempre nella stessa maniera: Primo non e' vero ma e' vivo, poi un animale e' una responsabilita' ancora troppo grande per te, ne riparleremo quando sarai piu' grande.
Il tempo e' passato ma per altri problemi, quel leporide non e' mai arrivato.
La bimba ci pensa sempre, e l'occhio triste e' sicuramente dovuto a questa carenza di affetto, ma anche alla mancanza di sonno, infatti lei sta sveglia ogni notte ad aspettare.
La notte porta coniglio. 


Fiera del Vino 2015.
Un prestigioso sommelier prende la parola davanti ad una platea di neofiti:
Buongiorno a tutti sono qui per rispondere alle vostre domande, per soddisfare le vostre curiosita', c'e' qualcuno che vuole iniziare, qualche coraggioso che prende per primo la parola?

No.
A buon intenditor poche parole.

venerdì 8 maggio 2015

Papa cool

Direttamente da basketnet.it riportiamo l'articolo di Lelefante:


Sono gli episodi capitati, magari qualche lettura o il navigare in internet che ti danno coscienza su un argomento a cui prima non avevi dedicato un'opinione.
Il rapporto allenatore/istruttore - genitore e' uno di quei temi che forse si tratta sempre con superficialità.
Quando ancora minorenne mi regalavano gloria chiamandomi assistente o vice, ma in verita' ero uno spostabirilli o al massimo un ostacolo mobile, sentivo dai miei guru la classica frase: la squadra migliore e' quella composta da orfani.
Se da giovane ho ripetuto questo mantra dopo l'ho totalmente rinnegato, esattamente come mi dissocio da molti di quei cartelli che girano sulla rete dove si indica un galateo di comportamento dei parenti presenti in tribuna.
Mi sembrano molto banali ed ipocriti.
L'educazione del genitore per me va a pari passo con quella che la società imprime sull'istruttore, ai suoi tesserati quindi ai ragazzi.
Mettere un cartello in tribuna e' molto semplice, fa certamente scena, soprattutto se fotografato e condiviso, ma conta poco.
Si badi bene, chi scrive ha avuto in qualche occasione problemi con i genitori degli atleti anche di eta' molto diverse, ammetto di non esser mai stato diplomatico e tanto meno malleabile. Anche nelle ottime relazioni (ci sono state anche queste) non ho mai ritenuto la confidenza una giusta maniera per gestire quel sottile filo.
Credo nelle riunioni periodiche, in un colloquio alla fine di un allenamento, sempre nel rispetto dei ruoli e nella fiducia.
Non dobbiamo noi operatori delle società mai dimenticare che sono i genitori che portano i ragazzi all'allenamento, sempre loro pagano le rette che sono fondamentali per portare a casa la stagione agonistica, per non parlare poi delle trasferte dove spesso con tre macchine risolviamo il problema.
Alla base di tutto c'e' una parola chiave sola: educazione.
Educazione prima comportamentale poi sportiva, un bambino che entra in palestra e saluta e' già un'ottima base per l'istruttore.
Da recente genitore insisto molto sulla comunicazione di mia figlia: il saluto, per piacere e per favore, grazie, prego, scusa sono fondamentali per il mio modo di vedere la sua crescita e le deve usare a menadito con la famiglia ma soprattutto nei rapporti con il mondo esterno.

Giorgia Jurga ora che il sole bacia Gent (Belgio) passa il post scuola ai giardinetti con vari interessi, dalla raccolta di fiori e sassi, ai classici giochi e solo nell'ultimo mese ha dato segni di propensione ad una generica attività motoria.
Una corsa a ritmi diversi, arrampicare, un maggiore coraggio in salti e tuffi sulla sabbia.
In maniera del tutto spontanea nelle nostre uscite verso il campo giochi vicino alla bellissima cattedrale di Sint Jacob, l'altro giorno si e' trascinata la sua palla preferita, quella di Elsa, Anna e Olaf, protagonisti del film Frozen. Se avete una figlia under dieci sapete di cosa parlo. Ammetto che nonostante la palla non sia arancione e sia sprovvista di spicchi, l'emozione mi e' corsa sulla schiena.
Arrivati alla panchina base, parcheggio la bicicletta, non ho forzato la mano e con distacco ho chiesto come sempre: altalena? Purtroppo la risposta e' stata si, quindi inutile attesa con pallone sotto braccio.

GJ pero' recupera immediatamente punti, blocca l'altalena e chiede: giochiamo a palla? Certo - e poi pandemonio: andiamo a giocare al campo da basket?
Groppo alla gola, bruschetta nell'occhio: Va bene, piccola!
Un misto di palleggi e passaggi, corsa (solo sua!) e calcio, ma va tutto bene, l'importante e' calcare quell'asfalto, stare nell'ombra del canestro, pestare le righe bianche.
Il mio ruolo e' di spalla, di sponda, cosi' posso guardarmi in giro e scorgo padre e figlio con palloni da basket sgargianti, il papa' e' molto cool, jeans stretti, maglietta che sembra infilata a caso ma che invece ha una sua precisa vestibilita', barba rasa e curata e occhialino come tipico del finto nerd hipster, berretto di lana nonostante i venti gradi. Figlio biondo che sfonda di poco i dieci anni, secco, jeans e sneakers, felpa con il cappuccio.
Il loro sembra il classico gioco del giro del mondo, il biondino e' un po' impostato si vede che frequenta il minibasket ma magari qualche allenamento l'ha saltato, il padre e' un giocatore da parrocchia non ha particolare dimestichezza.
Incrociamo un paio di volte le nostre traiettorie, io rendo la palla esageratemente gonfia, il bimbo abbassa gli occhi senza neanche un timido Dank u.
La scena clou arriva su un tiro della media del bimbo, che sbatte sul primo ferro e la palla schizza verso la meta' campo, la recupera, e torna verso la posizione lasciata con una partenza in palleggio con la mano destra.
Ed e' in quel frangente che il papa' lanciando il cappello di lana interviene, fa ampi cenni che il suo palleggio e' alto, che i suoi occhi guardano l'asfalto, e' evidente che questa e' un'osservazione che il bimbo riceve spesso, perché il padre e' molto deluso.
Per tutta risposta il biondo classe duemilatre circa (ho ancora questa influenza da coach: non quanti anni hai ma di che anno sei; d'altronde il mio codice bancomat e il pin del telefono li ricordo con i nomi di ex atleti e collego la loro annata….) scaglia la sfera sulla tabella e se ne va con un labiale che non percepisco, ma l'espressione e' chiara.
Si siede sulla panca, il papa' lo raggiunge, conversano per un paio di minuti, poi il papa' torna ad allenare il suo tiro mentre il bimbo va in altalena.

Caro padre molto cool, mi permetto di consigliarti, lascia stare il palleggio del ragazzo, la prossima volta porta una palla sola e gioca con tuo figlio e soprattutto digli di ringraziare, salutare e sorridere, sempre. Soprattutto al campetto.