lunedì 27 aprile 2015

Disagio sportivo

Probabilmente se seguite il calcio di vertice italiano non condividerete nulla di questo post.
Sono stato tifoso anche acceso, da chiacchiera da bar e commenti del lunedì; poi non mi sono adeguato alle pastette, ai biscotti, al delinquere, al malcostume e anche alla violenza.
Sono juventino, un amore giovanile, ma ormai più che un matrimonio e' una relazione aperta, come con quelle donne con cui sei stato bene ma ormai hai consumato la passione; lei ha la sua vita, tu la tua.
Un saluto e un caffè lo si prende ancora volentieri assieme ma nulla più.

Non posso sopportare i titoli dei giornalisti, i salotti delle televisioni di second'ordine, i processi, gli appelli e i contrappelli, i giochi di parole come zozzoneri, rubentus, merdazzurri, di cui non trovo alcun collegamento, nessuna capacita' di giocare con le parole e lettere, nessun significato.

Poi anche tecnicamente non ho una preparazione, per me lo spettacolo e' il goal, non godo per un fuorigioco fatto bene o una diagonale perfetta.
Come giocatore sono stato un bomber dell'asfalto di Poggi Paese, ma giocavo sulla quantità delle presenze, la qualità era di Muci, Frapo, Tony e Roby.
Al massimo posso ricordare con poca modestia la scarpa d'oro vinta e consegnatami da Rino Gandini, mitico portiere della Triestina e padre dell'ex pivot della Pallacanestro Trieste, come miglior marcatore ai Giochi di Settembre della mitica parrocchia Gesu' Divino Operaio (GDO per tutti).

Quindi questo deficit di entusiasmo per il calcio di vertice, la mia carenza tecnica sommata alla mia lontananza da casa ha scatenato ulteriormente in me il tifo per la squadra della mia città, l'Unione, la Triestina.
La seguo nonostante la categoria, i faccendieri che ne hanno la gestione, la carenza cronica di risultato. Insomma amore vero, per la maglia, per il significato dell'Alabarda, per la città.

Quindi leggo di calcio minore, apprezzandolo pure.
Sia chiaro la Triestina per me e' serie B o C1, nutro sempre il sogno di vedere almeno un campionato al Rocco di serie A, solo per la soddisfazione di tifoso.
Pero' e' vero che nella mia città il calcio minore e da sempre seguito ed amato, ricordo che il mitico settimanale Triestesport fece molti anni fa un'osservazione centrata ed interessante di come il pubblico presente al Rocco (o ancora al Pino Grezar?) potrebbe essere integrato in maniera importante con il numero di tifosi che seguono settimanalmente i vari tornei di calcio a sette.

Il calcio a sette sotto San Giusto e' un'istituzione, in una città in costante difficoltà per carenza di strutture sportive, il campo a sette e' una sicurezza, ogni quartiere ne ha almeno uno.
Che poi il calcio a sette e' tipicamente triestino, infatti in giro ho sentito il calcio a cinque o calcetto, futsal per i più fighi, poi il calciotto oppure aspettare l'estate per bruciarsi le piante dei piedi sulla sabbia rovente per il beach soccer.

Una vera galassia di calcio minore, forse più sano, che potrebbe rianimare la passione di molti delusi; magari potrebbe essere più organizzato, più corporativo.
Allora lancio a qualche mio amico calcisticamente più preparato questa idea: istituire una federazione parallela e in antitesi con i dinosauri di Tavecchio, un team che sappia valorizzare il meglio dello sport, della vita sportiva di tutti i giorni.
Il calcio minore che non segue la politica litigiosa e inconcludente e la società allo sbando adeguandosi a quello che ormai hanno fatto i protagonisti della serie A. Il calcio minore che si aggrega in tutte le sue forme, che si allea e forma un corpo solo.

Una federazione italiana calcio amatoriale, dove si propagandano alti valori morali, e si ha un unico obbiettivo comune tra dirigenti, allenatori, giocatori, arbitri e tifosi.
Insomma un mondo, una galassia, che giri intorno alla Federazione Italiana Calcio Amatoriale.
Un mondo, una galassia che giri intorno alla FICA.

mercoledì 22 aprile 2015

Sono ricco

Influenzato dai racconti del sito, il fidato economista del blog si cimenta in una storia.
Ha alzato insomma la testa dai suoi weekly pillows, ha preso la penna e ha prodotto: Sono ricco.

Grazie coach K.



Sono ricco… d’età ed esperienze e ho i miei lussi: mi estraneo, quando qualcosa non mi piace o mi spazientisco, mi isolo… e ricordo. E’ un gran lusso, perché alla mia età ti lasciano in pace, non insistono o ti pungolano, come facevano molti anni fa.
Da sempre, la prima volta credo a 6 anni, se mi annoiavo me ne andavo, non fisicamente, ma partivo per i miei viaggi mentali, mi distraevo, pensavo a fantasie, immaginavo. Ma era praticamente impossibile, venivo richiamato alla realtà, mi strattonavano, mi prendevano in giro. Ora è diverso: il passato mi fa vivere il presente, ricordo e vago con le molte cose occorse alla mia vita, il presente è miserabile: vivo con figli e nipoti, e mi sposto dal letto alla poltrona.
Oggi però è il mio compleanno ed hanno deciso di portarmi in città per farmi un regalo. Io, al solito, non ho chiesto nulla, ma per i nipotini bisognava portare fuori il nonno e comprargli… una pipa. L’ho detto che sono ricco: ricordo e fumo. Purtroppo l’ultima pipa si è rotta e non riesco ad aspirare più bene ma, ripeto, non ho chiesto nulla. Continuavo a fumarla perché anch’essa legata ad un ricordo, ero stato in America un anno, a studiare medicina; ero arrivato un po’ prima delle vacanze di natale, sbarcato a New York ed accolto dalla prima grande nevicata, faceva freddo ed il vento mi impediva di accendermi la classica sigaretta. Avevo un paio di giorni liberi, prima di cominciare gli studi e così cominciai a gironzolare, mentre camminavo per la Lexington, con le scarpe sommerse dalla neve, scorsi una vetrina con dentro della gente che sembrava godersela alla grande, avvolta da nuvole di fumo. Non capivo bene di cosa si trattasse così ci ripassai davanti un’altra volta e poi decisi di entrare.
Faceva caldo, salutai stentatamente e chiesi di togliermi il cappotto. Fui accolto con gentilezza ed invitato a sedere. Mi venne chiesto cosa volessi ed io domandai un tè. Il mio ospite mi sorrise e mi spiego che quella era una “fumeria”, ovvero un posto dove si chiacchierava tra una boccata e l’altra; in effetti guardandomi attorno scorsi varie persone a fumare sigari o tirare la pipa. Le mie sigarette erano decisamente fuori posto per cui chiesi un sigaro e come risposta ottenni un sorriso. Mi venne fatto cenno di alzarmi e fui introdotto in un'altra stanza dove tabacchi e sigari riempivano intere pareti, non volevo andarmene visto il tepore ma ero evidentemente imbarazzato, con mio grande sollievo (e considerato il mio abbigliamento non proprio sfarzoso) mi venne consigliato un Hoyo de Monterrey di provenienza cubana. Per me era la prima volta, lo accessi con non poche difficoltà e mi adagiai su una comoda poltrona pensando al mio futuro, mi ero appena congedato dall’esercito e cercavo una specializzazione per aprire un mio studio di medicina privato, sognavo una casa con un caminetto, una moglie yankee e qualche pargolo, insomma la tipica vita media americana.
Dopo quasi tre quarti d’ora, in cui forse mi ero pure appisolato, decisi che era arrivato il momento di tornare a bighellonare, ma vista la gentilezza riservatami volli assolutamente comprare qualcosa, un oggetto che mi rimanesse nel tempo e mi ricordasse il primo impatto con gli Stati Uniti, comprai la mia prima pipa, una Peterson.
Ora a distanza di più di 45 anni mi ritrovo di nuovo col cappotto addosso pronto ad uscire coi nipoti a guidarmi in un piccolo negozietto dotato di varie pipe e oggetti da fumo.
Ho sempre freddo, indosso un cappotto con sotto una sciarpa, un maglione di lana grossa ed una camicia di flanella, calze da montagna, pantaloni a coste di velluto ed il mio inseparabile cappello pesante, acquistato dopo 20 minuti di permanenza  a Boston, grazie al vento proveniente dall’Artico.
Entriamo e, stranamente, nessuno fuma…ritorno ai ricordi…ho un nipote per mano ed appena il commesso ci mostra le sue numerose pipe i pargoli restano esterrefatti, sono tutte luccicanti, pulite e odorano di nuovo. Ho sempre raccontato poco di me, alle domande rispondevo con altre domande, sempre per il fatto che mi estraniavo, e mi ricapita pure ora.
Poi, ad un certo punto, il nipotino più piccolo, con un innocente grazia, mi gira il mento, in modo che lo possa fissare negli occhi, in mezzo a noi una bella pipa, grande, curva, rossa, e le parole mi escono dal cuore, senza che possa trattenerle:
“E’ la stessa che usava il mio amico Sherlock”.

sabato 11 aprile 2015

Pelapatate

Non serve a nulla essere in una metropoli mondiale da nove milioni di abitanti se poi rimani chiuso in una stanza da poco più di venti metri quadrati che affittano come monolocale o più elegantemente studio.
La stanchezza pero' non mi fa muovere da questo buco per quel poco tempo libero che il mio lavoro mi permette. Quindi mi adagio sul letto magari con un sottofondo musicale e riposo senza dormire. Per non avere cattivi pensieri, alimento un po' la nostalgia, i ricordi non sono mai cosa negativa per me.

Ricordo i miei pomeriggi invernali nella mia cameretta a casa dei miei genitori, completamente azzurra come conveniva per i figli maschi: copriletto, abat jour, gli elementi più piccoli del grande armadio tutto con il colore del cielo terso.
Avevo i miei giochi, ma passavo molto tempo alla scrivania, disegnavo molto e riportavo le scritte che vedevo in giro, da quelle sui muri della città alle insegne luminose dei negozi e della pubblicità. Non mi interessava il testo, il significato, ma il carattere, la grafica, quello che oggi grazie ai programmi di videoscrittura dei computer chiamiamo fonts.
La mamma passava per la stanza e diceva: i compiti? Chiedevo un aiuto ma lei rispondeva: pelo le patate poi arrivo! Purtroppo non arrivava mai.

A scuola galleggiavo, senza infamia e senza lode, fondamentalmente come molti ragazzi non ci andavo volentieri. Ricordo con piacere solo alcuni insegnanti, altri li ho totalmente rimossi, nessun odio comunque.
La mamma andava a parlare con i prof solo nei colloqui collegiali, quelli periodici, al pomeriggio. Tornava a casa e mi diceva sempre la solita cosa, il banale e usurato "sei intelligente ma ti applichi poco" replicavo "vedi, mamma…" ma non facevo in tempo a proseguire che lei incalzava "mi dici dopo, devo correre a pelare le patate". Poi la cena, un film e buonanotte.

Ero ancora forse alle medie quando disegnai una scritta "Nutella" diversa dalla solita a cui siamo abituati, ero soddisfatto, felice, volevo mandarla alla fabbrica per sottoporla al direttore, al capo, al padrone.
Mi brillavano gli occhi davanti a quel foglio.
"Mamma, vieni a vedere cosa ho scritto!"
"Preparati per andare a calcio"
"Mi accompagni?"
"No.Devo preparare la cena per stasera, sto pelando le patate."

Scuola e calcio, anche a cena gli argomenti con papa' erano questi, per poco, mangiando, poi qualche minuto prima di andare a letto.

La mia fortuna e' arrivata nella mia estate da quasi maggiorenne, ho trovato un lavoro stagionale in uno stabilimento balneare, facevo piccole manutenzioni, curavo la spiaggia praticamente l'assistente dell'assistente bagnanti. Ad ottobre poi il boss mi ha confermato, avanti con la manutenzione e garzone al bar per tutto l'anno, due lire in tasca e tanti saluti a banchi, gessetti e lavagna.
Tornavo a casa stanco e felice, poi con gli amici potevo uscire quasi ogni sera grazie alla paga d'apprendista. Compiuta la maggiore eta' ho potuto anche comprarmi una macchina, una Fiesta, nera, con pochi chilometri.
Con le chiavi in mano sono arrivato a casa:
"Mamma, guarda, la macchina nuova! Scendiamo a vederla! Ti porto a fare un giro!"
"Magari dopo, semmai mi affaccio alla finestra, dalla cucina vedo il parcheggio, ora devo pelare le patate"

La Fiesta come il lavoro e' durato poco.
La vendita del bolide nero e' servita per l'acquisto del biglietto di sola andata per gli Stati Uniti. Tappa quasi obbligata dopo la chiusura definitiva dello stabilimento e la dritta di un cliente del bar che grazie ad un parente mi ha assicurato un posto di lavoro al ristorante di famiglia ad Uptown, Chicago.
Con la valigia pronta ho aspettato papa' che mi ha accompagnato all'aeroporto, la mamma con gli occhi lucidi mi ha stretto in un abbraccio e mi ha velocemente salutato.
"Scusami ma non posso venire, devo pelare le patate"

Ed ora qui in questa stanza con le ore contate prima di correre al ristorante, una via di mezzo tra una tavola calda ed un fast food, dove pero' la carne sa di carne, le verdure di verdure, i piatti sono di ceramica, i bicchieri di vetro e le posate di alluminio, ed io in cucina pelo le patate.

mercoledì 1 aprile 2015

Volontariato

Non ho dovuto sudare poi molto per ottenere le mattine libere.
Dei tre turni di lavoro il pomeriggio e' quello maledetto da tutti, "ci spacca la giornata" e "non puoi far nulla" sono i commenti più inflazionati.
Le notti ormai se le sono divise i più giovani, l'integrazione dello stipendio e' necessaria, pensano di coprire più velocemente il mutuo casa e il debito della macchina, tra un paio d'anni ambiranno anche loro alle mattine come tutti gli altri.
Ho approfittato di questa inclinazione comune per organizzarmi le giornate, e ormai le mie abitudini sono metabolizzate.
 

Il mio tempo libero inizia verso le ventitré quando dopo il percorso in tram arrivo a casa dopo la giornata di lavoro e, caschi il mondo, trovo mia moglie Gloria sul divano, con la televisione accesa, telecomando in mano.
Mi ospita sotto la coperta e ci vediamo un film, talvolta presi dalle chiacchiere perdiamo il filo e riproponiamo lo streaming o il DVD al giorno dopo.
 

Al mattino riesco a rubare almeno mezz'ora di sonno in più grazie all'indipendenza della bimba che si sveglia velocemente e si prepara da sola e alla disponibilità di Gloria che le fa da spalla per qualsiasi cosa.
Di solito arrivo in sala mentre loro fanno colazione, ho già indossato la mia tuta sportiva, facile da vestire in velocità, le saluto poi un po' d'acqua sul viso ed esco con la bimba, tram delle sette e quarantadue, e quelle quattro chiacchiere a cui non potrei mai rinunciare.
Un veloce bacio, e la telefonata di Gloria, "e' a scuola? Tutto ok? Buona giornata a stasera".
 

Sono solo, le mie donne sono ai loro impegni giornalieri, vado al solito bar vicino alla scuola, capuccino-brioches-acqua-giornali, e immancabilmente qualche commento saggio di chi il bar lo vive.
 

Come al solito il percorso di ritorno lo faccio a piedi, passando talvolta a passo di corsa in un piccolo parco dove mi fermo sempre a salutare l'Egidio. Anzi Legidio.
Dalle mie parti non si usa come nel milanese mettere l'articolo al nome proprio ma per l'Egidio, anzi Legidio, e' sempre stato cosi', tanto che qualcuno pensa che effettivamente l'iniziale del nome sia la L.
Legidio e' quasi sempre solo, magari a volte seduto vicino c'e' Bulova (

http://lelebassiblog.blogspot.be/2014/04/bulova.html
) ma non sempre la compagnia e' gradita, Legidio non beve e il frequente e persistente odore d'alcool di Bulova lo nausea.
A differenza di Bulova poi, Legidio non ha un delirio monotematico, lui parla con assoluta lucidità per almeno un paio di minuti, ma se fa una digressione o apre una parentesi, perde completamente il filo del discorso ed inizia uno sproloquio misto di politica, calcio, sue fantasie e gossip di quartiere.
A me passare un'oretta con lui magari prima di fare la spesa non costa nulla, lo invito a bere un caffè lui mi risponde sempre "magari domani" e poi ci sediamo sempre alla solita panchina.
In queste abitudini si e' inserito un signore che porta sempre il suo piccolo cane a passeggio, un uomo distinto, con un loden verde e degli occhiali tondi, il cranio raso e una faccia simpatica, lui ci guarda ci sorride e procede con il bassotto.
Una mattina l'ho visto al bar anche lui con la sua tazzina e la sua brioches, mi ha riconosciuto e sorriso, poi uscendo il barista lo ha salutato: A domani, professor Bonetti!

Il dottor Bonetti, luminare della psichiatria, apprezzato professionista, discusso per le sue pubblicazioni, uomo di raffinata intelligenza, creatore di opinione.
Ho letto un suo libro dove sintetizzava il lavoro suo e delle sue equipe lungo il passare degli anni, il continuo aggiornamento. Spiega cos'erano veramente i manicomi, le case di cura e le prigioni psichiatriche. Un libro che sprizzava passione, una scrittura che mi ha preso totalmente. Appena lo incrocio di nuovo lo fermo il prof anche solo per stringergli la mano.

Una mattina si parlava con Legidio di un piccolo episodio di delinquenza successa in quartiere, un'aggressione ad un'anziana a scopo di rapina, finita in maniera goffa e per fortuna senza conseguenze fisiche ed economiche per la nonna.
Ma sono bastate le parole "rubare" e "rapina", per passare ad uno scandalo calcistico di un rigore non dato, e la frittata dell'Egidio (dellegidio?) e' stata servita: da palo in frasca in un nanosecondo.
A me piace sentirlo comunque, ogni tanto annuisco, quasi mai rispondo, ho capito che preferisce non essere interrotto ma solo ascoltato.
Ascolto e osservo in giro, quando passa il dottor Bonetti, fermo Legidio lo saluto, e vado verso lo psichiatra.

"Buongiorno, dottore!"
"Buongiorno, brava persona!"

Mi ha preso alla sprovvista: "grazie, ma perché?"
"La vedo sempre chiacchierare con Legidio"
"Sa, ho le mattine libere, al parco sto bene, lo ascolto volentieri spesso ha sprazzi di grande intelligenza e cultura e poi mi fa male vederlo parlare da solo"
"Lo so, caro, ma vede….Legidio non parla da solo, parla con gli angeli"