lunedì 28 settembre 2020

Prime di campionato

 L’estate sta finendo cantavano i Righeira, canzone malinconica per molti, soprattutto per quegli umani rettili che possono stare ore sotto il sole, amanti della spiaggia, del cocco fresco, dell’odore dell’olio abbronzante e del rigenerante bagno marino.

Malinconico è anche il momento dell’atleta minors, imbolsito più del normale, che paga l’entusiasmo di inizio stagione dell’allenatore e si deve sorbire sedute di corsa, addominali e dorsali, fatti a caso per due settimane per poi prendere la palla in mano.

Sportivamente il più felice è il tifoso pronto a schierarsi nuovamente sul divano o sulla tribuna per seguire i nuovi e vecchi beniamini.

Ovviamente l’entusiasmo è vergine, anzi talvolta è anche pompato dagli addetti  ai lavori con le dichiarazioni di rito: “ho buone sensazioni” “grande disponibilità, per un progetto di crescita”.

Per me è così con la Triestina, la squadra di calcio, per cui sono veramente un tifoso cieco e sordo. Esulto per l’arrivo del bomber mai sentito prima perché non mi intendo di pallone, tantomeno quello di periferia, godo per il califfo che sceglie l’alabarda, sono carico per la risalita in categorie più importanti, programmo di tornare a Trieste in primavera per sfrecciare in piazza Unità con lo scooter dando fiato a trombe e clacson per festeggiare la promozione.

Poi al Rocco arriva il Matelica. Il Matelica.

Che con un goal manda al diavolo tutto il mio genuino entusiasmo, mi fa pensare che è tutto sbagliato, dimentico di non capire nulla di calcio, e penso sia normale  aver perso quando vedo che Mensah, uno dei miei preferiti, non ha messo piede in campo.

Vorrei mandare via tutti, e vedere una squadra di bambini e mestieranti, con poco piede e più polmone, perché alla fine quando sei ferito pensi al sacrificio come unica via d’uscita.

Magari metti in discussione anche chi muove i fili dimenticando che Milanese, factotum, è quello che sta dando dignità ad una Unione violentata da troppi, e che comunque andranno le cose della sua gestione meriterà un sempiterno ringraziamento.

Ma niente da fare la ferita rimane, il pessimismo ormai ti ha preso, il bigio cielo belga non è nulla in confronto della visione del tuo primo futuro di tifoso, infatti verso le diciassette poco dopo il triplice fischio di Valmaura, pochi metri più in là scende in campo la pallacanestro Trieste. 

Reduce da un sali scendi nella preseason, da una costante, stucchevole e inutile polemica tra tifosi pro e contro la guida tecnica, poi la bomba del caro prezzi dei pochi biglietti disponibili, la carente comunicazione societaria in un mondo dove tutto si deve sapere al minuto, e i normali dibattiti su “quel xe bon, quel xe ciodo” frutto dell’isterica passione per il mercato giocatori.

Personalmente qui soffro di più, perché ho la presunzione di sapere e di sapere molto.

Non sopporto nessun commento di chi non ho mai incontrato in una palestra, e questa mia presunzione è sfociata nello snobismo e nella delusione.

Delusione dai commenti che trovi sui social che mi hanno fatto capire che la leggenda del pubblico competente, del salotto di Chiarbola,eccetera, è appunto una leggenda, o forse che le cose sono cambiate, o, ed è quello che spero, che la parte più vivace sul PC è quella più cestisticamente ignorante.

Lo snobismo invece lo manifesto, commentando pochissimo, selezionando attentamente i post, le firme e gli argomenti.

Sta di fatto che con il Matelica in testa (il Matelica) mi appresto a vedere la partita con Cremona, squadra costruita in due minuti, dopo aver reperito quattro soldi per l’iscrizione, ma che in un giorno è riuscita ad assicurarsi Cournooh, Poeta e Mian che tutto sommato sono tre nomi italiani non così male da integrare alla solita lotteria degli stranieri.

L’inizio è da vietare la visione a qualsiasi bambino iscritto al minibasket, poi Trieste prende le misure e balla da sola, e chissà se il più trenta farà volare il tifoso cieco e sordo(come il sottoscritto con l’Unione)ai play off, o farà dire al contro Dalmasson :”...coi morti”, oppure si prenderanno con grande rispetto i due punti, la fiducia, e si valuterà a fine anno se la salvezza senza patemi, obiettivo societario dichiarato, sarà qualcosa di soddisfacente per tutti. 


Posso andare a dormire più sereno, ma degli amici mi chiamano per andare al pub a vedere Roma-Juve, di cui ricordo un ottima Fourchette, una bionda da sette gradi e mezzo, piacevolmente frizzante, servita forse troppo fredda.


Ps: merito un ringraziamento per non aver fatto nessun riferimento al covid.

venerdì 14 agosto 2020

Lettera ad un giovane istruttore di minibasket

Caro giovane istruttore di minibasket,

è già da un po’ che volevo scriverti ma la timidezza e la consapevolezza che nonostante la differenza di età io posso vantare esperienze in più ma sicuramente non formazione, mi hanno reso titubante.

Probabilmente sei un istruttore che ha avuto un corso più lungo e diversamente organizzato del mio e adesso stai aspirando, giustamente, a migliorare ulteriormente la tua posizione, la tua tessera e il tuo sapere.

Ti ammiro e ti fa onore.

Come spesso mi succede l’elemento scatenante a scrivere qualcosa, questa lettera per esempio, mi arriva dalle letture che mi colpiscono, quindi alla fine di questo inutile testo aggiungerò un paio di righe del libro che ho tra le mani in questo periodo.

Pur cercando di vivere più possibile l’ambiente, sono ormai molti anni che non “tengo” un corso minibasket, e mi sono riavvicinato solo ultimamente nella figura di genitore.

Una figlia di un istruttore/allenatore e di una ex giocatrice e per di più con sangue lituano triestino ha obiettivamente poche possibilità di non provare la spicchia. Lo dico con assoluta serenità, non dimostrando alcun interesse o talento.

Ebbene, caro ragazzo, ti scrivo non per parlarti del dai e vai, del music basket o dei giochi di potere, cose che nell’arco dei miei venticinque anni di minibasket ho sentito proporre sempre dalla stessa élite di persone, ma per farti capire che entusiasmo, lavoro sporco e rapporti, valgono di più di qualsiasi altra cosa, questi tre ingredienti devono essere sempre nella tua sacca magica, quella che abbiamo sempre appiccicata alla schiena.

Una volta che nella sacca hai questo, puoi aggiungere tutto quello che ti viene propinato, studialo, filtralo, rendilo tuo, e sorridi, ti consiglio di saperti vendere.

Ma nelle prossime righe io voglio parlarti solo del contenuto della sacca magica:

  • Entusiasmo: il primo giorno che non ti sentirai in forma per andare in palestra, vai in vacanza. Riposa il tuo fisico. La mente non staccherà mai, probabilmente manderai whatsapp al tuo collega “maestro” che ti ha rimpiazzato, per sapere le presenze e se Giovannino finalmente ha fatto il terzo tempo senza inciampare su quella bastarda linea bianca. Se non lo farai, se è la mente invece ad essere satura, allora fatti un esame di coscienza, forse è ora di cambiare focus.
  • Lavoro sporco: quello delle piccole palestre che tu devi far apparire migliori delle arene NBA, il tuo obiettivo è di finire l’allenamento con lo stesso aspetto dei mostri che alleni: stanco, soddisfatto, sudato. Ho usato di proposito nella stessa frase allenamento e alleni, non vergognarti a usare queste parole, i mocciosi non si impressionano, i bacchettoni forse si. Poi dopo la doccia, quando sei pettinato e pulito,  fuori dalla palestra probabilmente in un istituzionale sala federale allora spiega come è andata la...lezione. Non sarà sempre possibile, ma nemmeno necessario e utile, narrare una favola in palestra o chiamare le linea di fondo la tana dell’unicorno, a volte va benissimo dare alle cose il nome vero, ti ripeto il moccioso non è così impressionabile e riga di fondo non è una brutta parola e fare degli esercizi può essere anche estremamente divertente, talvolta meno noioso di una fiaba, soprattutto se tu abbini le prime due cose della sacca.
  • Rapporti: con i bambini e ragazzi, con i loro genitori, con le persone della tua società, con chi gravita intorno non solo al MB ma anche a tutti i livelli della nostra disciplina. Con i bimbi, il sorriso non può mai mancare, il rispetto dei ruoli neanche, le regole della palestra ancora meno. Da ragazzo stupido ma entusiasta giovane istruttore avevo un “nemico”, un vecchio maestro, che vedevo come superato, e che volevo battere sempre ma poche volte l’ho fatto. Una volta capitai, non so per quale motivo, al principio di un suo allenamento, alle 14 (!!). I bambini arrivavano alla spicciolata, uno entrava da una porta già pronto, uno dalla tribuna dove velocemente cambiava le scarpe, uno da una porta laterale, altri dallo spogliatoio. Lui, fermo, in piedi appoggiato al tavolo di metà campo. Ebbene tutti, correndo percorrevano la stessa traiettoria nella sua direzione, per salutare, battere il cinque e rispondere ad una veloce domanda, sulla scuola o famiglia o altri impegni. Rituale di ogni inizio allenamento. Questo piccolo e probabilmente insignificante episodio mi ha fatto conoscere meglio il mio “nemico” e mi ha arricchito molto. Quindi cerca dal nulla, dal particolare la tua Costituzione di palestra, discutila con i tuoi colleghi falla diventare disciplina societaria. Con i genitori il discorso è più complesso, e deve interessare molto al tuo dirigente, tu tieniti ad un rapporto cordiale, dove possibile limitando disamine tecniche, e usando sempre il buongiorno e buonasera al posto del ciao, e preferendo il lei dal tu. Con colleghi e collaboratori: se vi sentite liberi di dirvi qualsiasi cosa all’interno dello spogliatoio, e poi siete capaci di chiedervi scusa e riderci sopra, avete formato un gruppo super. 


Non ambire a fare il professionista, se ti capita valuta ma non farti legare le mani dal rimborso spese, un istruttore con le mani legate non può fare la superbomba, la schiacciata o “nascondere” la palla con un semplice ball handling, ma sii professionale, quello sempre.


Buon lavoro, buona ripresa.




Da “storia di un boxeur latino” di Gianni Minà:


 Ci educavano soprattutto con lo sport. Conoscevano le potenzialità formative di quel linguaggio. Sarà banale ripeterlo, ma lo sport ti addestra per davvero alla sconfitta e alla vittoria, alla lealtà e alla sfortuna, ti insegna insomma il rapporto tra allenamento e risultato, il riconoscimento e il rispetto del talento e il valore della volontà.


(...) sono sempre stato attratto dalle quinte più che dalla scena.


mercoledì 10 giugno 2020

Il postino

Porto la posta nella zona est della città, tranquillo, non tanto traffico e la linea gialla del tram che fa un servizio apprezzato da tutti i residenti, tranne da quelli della via principale, il Corso Garibaldi che se lo percorri tutto ti porta al centro.
Si lamentano che nel loro tratto la velocità è esagerata, ciò crea pericolo e scoraggia l’uso della bicicletta. 
Da utilizzatore di bicicletta per professione mi è stato chiesto più volte di firmare diverse petizioni da presentare all’azienda locale dei trasporti e al Comune per appunto regolarizzare la velocità del tram in quel tratto.
Devo dire che per una mia questione, diciamo così, organizzativa io non pedalo nel percorso “incriminato” perché preferisco parcheggiare la bici e camminare per quel dedalo di vie e viuzze scambiando anche qualche parola con le persone a cui consegno la posta.
In via dei millle, la via che poi si affaccia al tratto di viale Garibaldi ad alta velocità, abita il signor Germano Franco, uomo di una settantina di anni, piccolo, tarchiato con due braccia e due mani che sembrano due pagaie, sempre a testa bassa, scorbutico e spigoloso per usare eufemismi.
Non gli ho mai dovuto consegnare a mano qualcosa, sempre e solo cartoline o normali buste.
Con una certa agitazione, devo bussare allla sua porta sulla strada, la casa è praticamente appoggiata sul marciapiede, per consegnare una raccomandata.
Prima di farlo mi vengono in mente le leggende metropolitane attorno al Germano, che le megere di zona non lesinano a raccontare nel bar Marsala, o tra i vicoli. “Ha soffocato a mani nude un pit bull” “ha tentato di cementificare il suo capo cantiere che non avevo mantenuto determinate promesse economiche” “la casa dove vive l’ha ottenuta come indennizzo allo strozzo applicato al precedente proprietario”.
Con il cuore in gola, busso piano, poi vista la mancata risposta, più energeticamente.

“Fanculo”

Risposta concisa, ma chiara, per me quasi liberatoria, non mi andava di avere a che fare con quel tipo, compilo il cedolino e lo imbuco nella cassetta.
Quasi una volta a settimana però devo fare la stessa cosa, sia per il sollecito della raccomandata precedente, sia per nuova corrispondenza.
Talvolta vedendo la finestra aperta a ribalta ho cercato anche di farmi sentire “Buongiorno, posta, raccomandata”

“Fanculo”

Martedì mattina, all’inizio di Via dei Mille arrivo con quasi un’ora di ritardo dal solito orario per un problema al centro di smistamento.
Ordinando le lettere da imbucare in maniera cronologica rispetto al numero civico, incrocio il Germano, a cui non devo consegnare nulla, mi limito al saluto formale.

“Buongiorno”
“Fanculo”

Le casalinghe che battono il tappeto sulle finestre all’unisono, mi dicono altrettanto in coro di lasciar stare e che è fatto così, adesso andrà al bar per bere il caffè, non saluterà nessuno e non vorrà essere salutato, poi tornerà a casa, come sempre: con orari, vestiti e passo sempre uguali.

Il giorno dopo, puntuale il sollecito della prima raccomandata per il Germano, consegno tutta la posta e decido di rispettare i suoi orari.
Attendo circa mezz’ora all’angolo tra Corso Garibaldi e via dei Mille, preciso come un orologio svizzero esce da casa, respiro a fondo, e busta in mano gli vado in contro, quando siamo a due metri, con voce ferma dico: “signor Germano, una raccomandata per lei” gliela porgo in mano, “una firma qui”.
Preso alla sprovvista impugna la lettera, la stringe tra le dita e la lancia in aria, aumenta il passo fino a correre e mi urla:

“Fanculo”

In quel momento mentre, la sua corsa invade la carreggiata di Corso Garibaldi, con destinazione il Bar Marsala, posto proprio al ciglio opposto della strada passa il tram Giallo, a quella velocità tanto discussa dai residenti.

“Fanculo”.

mercoledì 20 maggio 2020

Quarantena cestistica

Era cestisticamente un buon momento, come coach minors si viaggiava serenamente in una seconda fase/play off senza particolari ambizioni, le ragazzine più giovani si ritagliavano spazi meritati sfruttando i buoni consigli delle zie più grandi, sempre ben disposte. Si programmava già qualche trasferta -gita estiva, grigliate di fine anno e quei poveri cristi di dirigenti tastavano il terreno per le conferme per l’annata sportiva seguente.

Da tifoso, la mia squadra del cuore sembrava in ripresa e le dirette concorrenti in difficoltà insomma si prospettava una salvezza possibile senza scosse importanti alle coronarie.

Poi la pandemia, un colpo di spugna forzato ma necessario agli sforzi economici ed agonistici, vittorie e sconfitte cancellate, situazioni in stand by.

Noi per fortuna sanissimi ma malati di basket, abbiamo approfittato per aggiornarci on line, per scambiare anche solo un saluto con i nostri compagni di squadra o colleghi.
Personalmente ho visto un numero esagerato di partite degli ultimi quarant’anni , ho sentito alcuni coaches professionisti che hanno messo a disposizione la loro esperienza in ben organizzati incontri on line e ovviamente ho seguito la serie dedicata allo smisurato ego del venerabile 23.

Apro e chiudo la parentesi “The last dance” dicendo che ovviamente è stato piacevole rivedere una storia ampiamente conosciuta, con sfumature a me ignote, riprese mai viste e facce e corpi imbolsiti di quelli che un po’ di tempo fa sembravano divinità greche.
Non mi ha sorpreso il leit motiv degli episodi, cioè la competitività e l’ego di MJ.
Mi ha profondamente deluso il massacro a Jerry Krause, come se a gestire in maniera oculata e programmatica il club, il mettere davanti a tutto l’organizzazione fosse uno sgarro a sua maestà e al suo scudiero in particolare.
A proposito di organizzazione, Mr. Jordan how is Charlotte doing?

Alla fine devo dire che nonostante gli anni passati e i cambi di linguaggi comunicativi, non ho trovato una differenza così evidente con le vecchie vhs stile “Back to Back” dei Lakers, la mia favorita.

Non serviva aspettare il lunedì di netflix per connettersi sugli account FIBA o Eurolega e scegliersi qualche partita.
A memoria: due tre dell’Olimpia di Peterson-Casalini, Zalgiris-Pana del 2003, Lituania-Jugoslavia con un epico confronto Djordjevic-Marciulionis, URSS-USA ai mondiali in Canada del 1994 (a proposito Walter Fuochi su Repubblica scriveva: Non ci sarà l' Italia, in Canada; né una tv italiana, della nostra repubblica fondata sull' audience, fra i 133 paesi e il miliardo e mezzo di persone che seguiranno il torneo) e forse la più recente: un Belgio-USA dell’ultimo mondiale donne, se avete pregiudizi sul femminile, guardatela, vi cancellerà qualsiasi dubbio, gara bellissima.

La parte più bella era tediare con le mie impressioni l’avvocato Pesce, brillante istruttore MB e giovanile, con diverse competenze date da una solida preparazione ed una cultura sportiva e generale da mai giovane, quale in effetti è.
Ho un’assoluta stima per quelli mai stati giovani.
Trovo soddisfazione a parlare con l’avvocato Pesce perché spesso abbiamo idee simili ma non uguali, ma una sua imbeccata arricchisce la mia opinione.

Stavolta però non ci siamo, e lui lo saprà da queste righe.

L’avvocato tende a smontare chi sostiene che una volta si giocava meglio, dicendo che ci sono spazi, velocità, corpi troppi diversi per un confronto sano.
Sono d’accordo con riserva.
La riserva è motivata dai cambiamenti del regolamento in primis.
In base alle partite che ho visto credo che i cambi epocali siano fondamentalmente tre, due di assoluta rilevanza, uno meno invasivo nelle situazioni di gioco.
Il tiro da tre punti, il passaggio da 30” a 24” e la divisione in quarti dei quaranta minuti.
Nelle partite precedenti al 1984, ossia all’entrata della linea dei 6.25, si vedevano degli arieti che o trovando un pertugio o sfondando un muro cercavano una soluzione da più vicino possibile o uno scarico interno, nonostante la severità della regola dei tre secondi in area fosse completamente diversa da ora.
I tiri da lontano erano da massimo cinque metri.

Poi vent’anni dopo, il cambiamento del tempo di possesso palla e di attraversamento della metà campo ha dato via a difese più lunghe, (prima era una scelta tattica ben definita)e attacchi più veloci, transizioni più organizzate.

Quindi, credo che nell’evoluzione del gioco, il regolamento ha avuto molta importanza.
Meno decisivo sul gioco, di più sulle scelte del coach, il passaggio da due tempi a quattro quarti.

A parità di situazioni cioè con i due (e mezzo) cambi di precettistica (precettistica, ti piace avv. Pesce?) metabolizzati non vedo distanze così abissali, per essere più chiaro: dai primi anni duemila ad oggi non vedo miglioramenti tali da dire quel giocatore “stella” vent’anni fa oggi farebbe fatica.
Magari è solo nostalgia dei miei venticinque anni e di quelli di Andrea Meneghin o Gianluca Basile, oppure sono solo gli effetti su di me della noia della quarantena.

Avvocato Pesce, non credo di averti convinto, ma sono disposto a discuterne in un chiringuito a Roseto, Trieste o chissà dove, sappi però che a un certo punto potrò meschinamente ordinare al barista e mandarti a pagare e prendere bicchieri, con boria ti guarderò negli occhi, capirai lo sfregio, non potrai dire nulla, solo per l’osservanza di un’aleatoria ma rispettata anzianità e gerarchia.