lunedì 21 dicembre 2015

Poesia natalizia

Finalmente e' festa, domani e' Natale,
i vestiti buoni sono tutti pronti,
presi un mese fa grazie agli sconti,
faremo un figurone, saremo una famiglia reale.

Dopo una giornata di lavoro seduti davanti al camino,
ci godiamo un po' di televisione prima di andare a dormire,
ma fuori c'e' casino a non finire,
vuole entrare a rubare, il marocchino.

Anche aspettando mezzanotte mi devo preoccupare:
prendi la mazza, il coltello e il bastone;
ma guardando dalla finestra: non e' nera la sua carnagione!
Questo conta poco, conta solo non farlo entrare.

Nel sacco ha il frutto di altre imprese
sta girando nel giardino
sta cercando l'entrata il malandrino
lo controllo bene: si capisce bene, e' albanese.

"Cosa dici? Ma non lo vedi?"
"Ha un indizio non indifferente di chi vive nel medio oriente, ha la barba fino ai piedi"

Gira ancora nel giardino,
trova la scala vicino alla cantina,
e si arrampica dal retro della cucina.
Ormai e' chiaro: l'obiettivo e' il camino.

Non lo vediamo piu' salire le scale,
ma armati lo aspettiamo nel salotto,
chissa' se lo rifara' dopo come l'avremo ridotto.
Eccolo che scende, senti che tonfo: Cazzo e' Babbo Natale!



martedì 8 dicembre 2015

L'uomo senza testa

L'uomo senza testa ama uscire da casa; di solito fa delle lunghissime passeggiate oppure si siede sulle panchine delle fermate del bus e talvolta sale su quelli che fanno le linee più lunghe. Dalla periferia al pieno centro, e quando è di buon umore ed essendo un ottimista lo è spesso, sul lungomare il posto che più ama della sua città.
Non usa la macchina, tantomeno la moto o lo scooter, non potendo usare il casco, quindi cammina e si fa portare.

Un giorno parte da casa sua, da quei palazzoni costruiti negli anni settanta e che tutti i suoi concittadini conoscono, fa qualche chilometro poi decide di salire sulla linea quaranta quella che sconfina anche dal Comune.
Ci sono molti posti liberi, lui sceglie quello in fondo dietro all'obliteratrice, fa tante fermate, salgono e scendono tanti anziani, vestiti quasi tutti di beige, blu o nero e anche molti ragazzi con dei cappellacci di lana con sopra le cuffie e dei jeans con le tasche a livello del retro del ginocchio.
Nessuno dei ragazzi concede il posto, nessuno dei vecchi lo chiede. Lo pretendono  fulminando con lo sguardo il ragazzo col cappellaccio per poi, sempre con lo sguardo, cercare conforto in un altro compare anziano. Chissà, forse basterebbe un po' di comunicazione per risvegliare l'educazione.

L'uomo senza testa scende in quella che probabilmente è la fermata più inflazionata infatti vicino c'è il cinema, il mercato della frutta e non lontano la stazione.
Si dirige verso la zona pedonale, e siccome è particolarmente sereno, decide di prendere la lunga via piena di negozi che muore in un piccolo porticciolo con ormeggio barche.
Prima però di arrivare al mare si siede al tavolo esterno di un bar, e' uno di quei tavoli grandi e grossi di legno massiccio. Ognuno divide col vicino lo spazio comune.
Chiaramente l'uomo senza testa non consuma ma nessuno ha nulla da ridire, si gode la pace.

Ancora un paio di passi e finalmente il lungomare, qua si può passeggiare anche per ore, a volte pensa che camminando forse si potrebbe anche arrivare alle famose spiagge dei VIP, tanto il mare è questo, prima o poi...
Arriva l'imbrunire l'uomo senza testa ama il sole, la luce, del buio ha paura quindi lascia il suo lungomare attraversa la strada e si avvia verso la fermata più vicina ma è proprio sulla striscia bianca di mezzadria quando una macchina gialla ad una velocità criminale lo sfiora, lo spostamento d'aria lo fa cadere, probabilmente lo shock gli fa sentire un dolore al piede come se quel pirata con la macchina sportiva lo avesse schiacciato.

La macchina gialla prosegue la sua folle corsa, la strada che costeggia il mare offre nel suo ultimo pezzo una curva da rally, e subito dopo un pub di quelli importati dall'Irlanda, la manovra e' veloce ma insicura e si conclude con un goffo parcheggio proprio davanti all'entrata del locale, le ruote anteriori sul marciapiede quelle posteriori sulla strada.
L'autista evidentemente ubriaco entra al pub e ordina una pinta, il barista proprietario del locale, uomo tutto di un pezzo e commerciante sgamato gli serve un caffè doppio, forte e bollente e con un gesto veloce gli toglie dalle mani le chiavi del bolide giallo.
"Queste le vieni a prendere domani" disse l'uomo  con la testa.

martedì 27 ottobre 2015

Storielle veloci

Assaggini:

Ieri sono andato ad una degustazione gastronomica svedese assieme ad un'amica. Con il sottofondo musicale degli Abba abbiamo assaggiato: pannbiff, kottbulla e kalops. Quando ho proposto alla mia amica un po' di nasselsoppa lei mi ha risposto:
No, Sto colma.

Ikea:

Tutti ma proprio tutti mi fanno i complimenti per il nuovo mobiletto ad ante e scaffali che ho messo in soggiorno.
Credenza popolare.

Disney:

Il destino beffardo ha voluto che nella finale dei giochi scolastici della città di Paperopoli nella specialità tennis tavolo si affrontino i fratelli Qua e Quo.
Dalla tribuna il terzo fratello Qui fa un tifo sfegatato per Quo.
Qui pro Quo.

Disney II:

In uno slancio di generosita' Zio Paperone decide di regalare degli scooter ai tre nipotini Qui, Quo, Qua.
Quo e Qua decidono per uno di quelli fiammanti all'ultima moda, mentre Qui preferisce quello a quattro ruote per andare fuoristrada.
Qui pro quod.

Lista della spesa:

Ecco cara, salame, mortadella e prosciutto.
Dell'affetto, caro, ti avevo chiesto solo affetto.

Te la tiri:

La barboncina Lousie non cede alle attenzioni del bulldog Fido che continua a girarle attorno: Puoi annusarmi quante volte vuoi ma non sarò mai tua, possiamo restare amici.
Fido rifiuto'.

Iniziative imprenditoriali:

Uno scorfano e una carpa iniziano una piccola attivita' imprenditoriale, dopo cinque anni di successi, hanno deciso di aumentare la produzione. Hanno alzato la sogliola.

Il vecchio e il bambino:

Ricordo bene quanto grandi sembravano i piccoli problemi adolescenziali, e quanta serenità mi dava sedermi sotto la pergola a godermi anche solo la visione di quei grandi grappoli d'uva.
Poi arrivava mio nonno che mi vedeva triste e mi diceva: su con la vite.

Comandi:
Ero un bravo militare ora non ho piu' niente.
Nulla tenente.

In viaggio:
Oh ma che palle! Quanto manca per arrivare al capulougo marchigiano?
Ancona venti chilometri.

Duello:
Riccardo Cuor di Leone: villano, con la mia spada caricata in verticale ti uccidero'.
Saladino: vedremo, vile marrano, se prima, io con la mia scimmitarra ti rendero' orizzontale.
Parole crociate.

martedì 22 settembre 2015

Quattro scatole

Ezechiele non dimentica le sue mani sporche di terra, la sua passione verso le piante, gli animali e quegli attrezzi di legno e ferro. Oltre a qualche passeggiata nei suoi pastini e qualche colloquio con i suoi dipendenti, anzi "gente che mi ha fatto diventare ricco" come dice lui, non ha piu' contatto da molti anni con quella campagna che e' stata sua fraterna alleata di giochi da bimbo, alcova dei primi amori adolescenziali, lavoro duro e soddisfazione poi.

Prima piccole vendite a vicini di casa, amici e gitanti, poi rifornimento a supermercati, prestigiosi ristoranti, fino a diventare un leader della sua zona nelle coltivazioni di ortaggi ed un'elitaria produzione di vino.

Lo sviluppo turistico e quasi industriale e' merito di Edi, figlio di Ezechiele e padre di Elia, la E denominatore comune di una diversa idea di terra e campagna. Edi laureato in economia non ha mai toccato una vite e una vanga, non ha mai indossato una scarpa diversa dal mocassino, ma il difetto che piu' spiace al padre Ezechiele e' la mancanza di rapporti con le persone che per quella azienda hanno versato il sudore, dipendenti si, ma prima compaesani e amici.

Ezechiele ripone nel nipote Elia le speranze per bilanciare la terra e il business ora che lui ha deciso di ritirarsi.
Le consegne le passera' lui, regole precise che non potranno essere fraintese, competenze di sviluppo industriale per Edi, contatto con la terra e con il personale per Elia che dovra' forzatamente garantire la sua presenza in quella che ancora adesso e' chiamata semplicemente fattoria.

Elia non chiede altro, lui e' formato dalla facolta' di agraria e da tutto quello che il nonno gli ha insegnato, e' un personaggio semplice che ha fatto rifiatare le manovalanze che vedevano un pericolo in Edi, i classici, villani e superficiali passaparola giravano gia' per l'azienda: "chiudera'"o "vendera tutto" oppure "ci sostituira' con i robot".

Edi e' in giro per la maggiori fiere del mondo, frequenta i salotti buoni, mentre Elia sottobraccio del nonno gira la fattoria, parla con tutti, ascolta le proposte. Il nonno ha gli occhi lucidi per l'emozione, le idee di rinnovamento dei locali evidenziano l'entusiasmo del nipote ma anche lo soddisfa della sua scelta, l'ultima in quella azienda da lui fondata.

Come ideale eredita' Ezechiele consegna ad Elia le chiavi del suo ufficio, un bel tavolo in radica scura una poltrona in pelle nera abbinata ad un divanetto posto vicino alla finestra.
Con un po' d'imbarazzo Edi chiede il permesso per poter fare qualche cambiamento, pensando a qualche diavoleria elettronica moderna, ovviamente il nonno autorizza senza veti. Solo quando gli viene chiesto di poter svuotare o spostare le vecchie scatole sopra l'armadio, il vecchio boss si blocca e balbetta: Potrai toccarle, solo al momento giusto, ti aggiornero'.

Dopo qualche mese di lavori di ammodernamento, prossimi al Natale, Elia decide di aggiornarsi col nonno su quella famose scatole, Skype e' magico: collega l'ufficio dell'entroterra al sole costante delle Canarie, dove il nonno ha deciso di svernare. Elia vede gli stessi occhi stupefatti e preoccupati della prima volta in cui ha parlato col nonno a proposito delle scatole, ora il vecchio prende un tempo preciso: "Per questa cosa ci sentiamo tra tre quattro mesi, anzi fissiamo una data il trentuno marzo".

Elia ha voglia di cambiare i colori e le luci di quell'ufficio e di tutte le zone chiuse del lavoro suo e dei suoi collaboratori, ma ha grande rispetto per il nonno e continua a mantenere in alto degli scaffali quelle scatole simili a bauli costantemente impolverati non si fa troppe domande ma una certa curiosita' nell'aspettare quella data fissata del nonno c'e'.

Il trentuno di marzo arriva ma del nonno nessuna traccia, non chiama e non risponde, i suoi orari migliori per mettersi in contatto sono sempre a cavallo del pranzo anche da capo dell'azienda fissava le sue riunioni in quegli orari e magari metteva a disposizione di tutti una buona bottiglia di vino e dei salumi genuini.
Il personale dell'azienda, contadini veri, sono gia' a letto quando lo smartphone di Elia squilla e' un messaggio del nonno: da te e' mezzanotte, aprile.

giovedì 10 settembre 2015

Souvenir

Ettore e' un ragazzo intelligente, ma taciturno, timido e solitario. 
Passa le sue giornate al computer, nella sua stanza da eterno teen ager, la sua unica 
distrazione dallo schermo e' la finestra che da' sul cortile interno.
 

E' da li' che ha provato per la prima volta il piacere della carne.
 

Maria, donna matura con curve morbide e provocanti e' la sua dirimpettaia, non fa nulla  per difendere la sua privacy, non tira la tenda, non usa vestaglie.
Lei fa finta di non vedere Ettore, gli regala oltre all'emozione delle forme anche quel poco di mistero e l'eccitazione di un panorama rubato.
 

Fino a quel martedi', quando lei con uno scatto pensato e calcolato, gira la testa ed incrocia il suo onirico sguardo. Attimo di panico per il ragazzo, e dopo essersi abbassato sotto il davanzale, prova a fare capolino, e nota una collaborazione negli occhi di Maria.
L'esperta matrona, con un veloce dondolio del collo lo invita, ma ad Ettore serve il gesto plateale seguente per capire, una roteazione delle braccia troppo evidente, quasi volgare.
Ettore suda, copiosamente, tenta di tamponare con l'asciugamano, si lava il viso, si bagna i polsi. Appena si tranquillizza fa una veloce doccia, si cura un po', esce di casa, attraversa il pianerottolo e suona il campanello della porta di fronte alla sua.

Quando torna nella sua stanza e' un altro uomo, fuma la sua prima sigaretta, con l'arroganza del grande play boy dei film, si stende sul letto con le gambe incrociate, guarda il soffitto e mantiene un sorriso ebete, gira la testa verso la cassettiera per ammirare quel vaso che ha chiesto a Maria di poter portare a casa come ricordo di quella giornata che lui ricordera' per tutta la vita.

Il vaso di porcellona.

lunedì 7 settembre 2015

In poche righe


Renzi sara' il governo dei fatti.
Lapo all'economia.

Basta con le tue bugie, Franca, me ne frego.
Franca mente me ne infischio.

Pistorius arriva in tribunale e vomita.
Troppo basculanti.

USA, Francia e GB boicottano la cerimonia delle Paraolimpiadi di Sochi.
Manifestazione zoppa.

Renzi ai bambini di Siracusa: facebook non vale un abbraccio.
Se vi piace condividetela.

Renzi contestato da Liga Veneta, forconi e Forza Nuova.
Le provano tutte per renderlo simpatico.

Dichiarazione perentoria di Renzi: Fare!
Che culo, a me capitava sempre lettera o testamento.

Renzi ha incontrato Berlusconi sotto la foto del Che.
"Pensavo fosse Gattuso".

Dopo l'incontro con Barbara Berlusconi, il nuovo mister Seedorf ha dichiarato:
"C'e' tanto da fare".

Domani Schettino a due anni dalla tragedia tornera' a bordo:
meglio tardi che mai, cazzo.

Putin: a Sochi vengano pure i gay, ma lascino stare i bambini.
Devo darli alla vecchia guardia.

E' morto Andreotti.
Satana vicepresidente.

A cento anni e' morto Priebke.
Boia ci molla.

Poste italiane interessate ad Alitalia.
Chi meglio per gestire un pacco.

La storia ci insegna che Napoleone aveva pessimi rapporti in famiglia.
Non proprio con tutti ma Bonaparte.

Cristoforetti sbarca.
Salvini: torni a casa sua.

Alle Olimpiadi della frutta,
la mela marcia.

Sbaliando s'inpara.

Il mio amico Achille Merdina ha deciso finalmente di cambiare nome.
Gino e' molto meglio.

Ci sono persone cosi' carnivore e in difesa degli ortaggi che quando tagliano una cipolla, piangono.

Auguri a Stevie Wonder per i suoi sessantacinque anni.
Due ore per spegnere le candeline.

Sono sicuro che il deserto del Sahara e' in Africa.
Su questo non ci piove.

Voglio fare un viaggio in Abruzzo.
Ok, andiamo.
Chieti e ti sara' dato.

Andrea Bocelli e' un artista e un professionista esemplare, un entusiasmo pazzesco che lo porta addirittura ad iniziare i concerti in largo anticipo.
Non vede l'ora.

In Amazzonia esiste una tribu' di cannibali generazionali. Praticamente l'anziano si sacrifica e i giovani si sfamano divorandolo completamente. Sono nonnivori.

L'italiano vince la gara di nuoto dopo che il cinese non si e' presentato in vasca.
E' giallo.

E' morto Satoru Iwata padre di tanti videogiochi.
Game Over.









venerdì 4 settembre 2015

Continua

Da questo piccolo buco in provincia non esco mai, ho perso parecchi chili, sono provato.
Domani e' l'anniversario: sei mesi di fuga con la sensazione di essere braccato da un momento all'altro.
Solo qui, in questi venti metri quadrati mi sono sentito protetto, sono riuscito addirittura a dormire un paio di notti complete.
Quella sensazione di qualcuno che mi spia, mi controlla, mi cura sta pero' iniziando nuovamente. Un nuovo spostamento e' d'obbligo.

Prendo le mie cose e come sempre scelgo la strada principale, mi confondo tra la gente, per poi velocizzare il passo nei viottoli traversi.
I soldi scarseggiano, talvolta salgo sul bus a scrocco ma faccio solo una o due fermate per confondere le idee a potenziali inseguitori; lo stesso con il treno, resto sul piccolo pianerottolo d'entrata e scendo al primo stop, spesso senza neanche cambiare città.

Con il sole delle buone alternative sono i parchi, una volta ho fatto tre giorni in una casetta sull'albero, con la pioggia invece i centri commerciali con i cinema multisala e lo stesso film per due o tre volte.
Sono più sereno quando capito in paesi turistici, la confusione mi da' fiducia.
 

In questo casino pero' mi sono ficcato proprio in una stazione turistica, dal niente mi sono sentito finito.
Due uomini vestiti come i gorilla dei nostri politici si mettono davanti a me per rallentare il mio passo dopo pochissimo altri due immediatamente dietro mi consigliano di salire sul monovolume scuro immediatamente dietro all'angolo.
Vengo spinto, poi ammanettato e bendato, qualche sberla ma tutto sommato pensavo peggio.
Mi sembra passata una vita, ma il nostro percorso e' durato si e no un paio d'ore. Uscendo dalla macchina sento una sensazione di freddo, l'aria fresca e profumata mi ricorda le mie estati presso le colonie di montagna della parrocchia, probabilmente siamo saliti di quota.
Resto incappucciato e ammanettato, mi legano ulteriormente dopo avermi messo una sedia sotto il culo.
La cosa più agghiacciante e' il silenzio, dal casino dei turisti al silenzio del monovolume e di questo posto.

Poi assieme al freddo metallico di un ferro appoggiato al collo qualcuno con voce roca mi chiede: ultimo desiderio?

Ricominciare da capo.



Da questo piccolo buco in provincia non esco mai, ho perso parecchi chili, sono provato.
Domani e' l'anniversario: sei mesi di fuga con la sensazione di essere braccato da un momento all'altro.
Solo qui, in questi venti metri quadrati mi sono sentito protetto, sono riuscito addirittura a dormire un paio di notti complete.
Quella sensazione di qualcuno che mi spia, mi controlla, mi cura sta pero' iniziando nuovamente. Un nuovo spostamento e' d'obbligo.

Prendo le mie cose e come sempre scelgo la strada principale, mi confondo tra la gente, per poi velocizzare il passo nei viottoli traversi.
I soldi scarseggiano, talvolta salgo sul bus a scrocco ma faccio solo una o due fermate per confondere le idee a potenziali inseguitori; lo stesso con il treno, resto sul piccolo pianerottolo d'entrata e scendo al primo stop, spesso senza neanche cambiare città.

Con il sole delle buone alternative sono i parchi, una volta ho fatto tre giorni in una casetta sull'albero, con la pioggia invece i centri commerciali con i cinema multisala e lo stesso film per due o tre volte.
Sono più sereno quando capito in paesi turistici, la confusione mi da' fiducia.
 

In questo casino pero' mi sono ficcato proprio in una stazione turistica, dal niente mi sono sentito finito.
Due uomini vestiti come i gorilla dei nostri politici si mettono davanti a me per rallentare il mio passo dopo pochissimo altri due immediatamente dietro mi consigliano di salire sul monovolume scuro immediatamente dietro all'angolo.
Vengo spinto, poi ammanettato e bendato, qualche sberla ma tutto sommato pensavo peggio.
Mi sembra passata una vita, ma il nostro percorso e' durato si e no un paio d'ore. Uscendo dalla macchina sento una sensazione di freddo, l'aria fresca e profumata mi ricorda le mie estati presso le colonie di montagna della parrocchia, probabilmente siamo saliti di quota.
Resto incappucciato e ammanettato, mi legano ulteriormente dopo avermi messo una sedia sotto il culo.
La cosa più agghiacciante e' il silenzio, dal casino dei turisti al silenzio del monovolume e di questo posto.

Poi assieme al freddo metallico di un ferro appoggiato al collo qualcuno con voce roca mi chiede: ultimo desiderio?

Ricominciare da capo.

(CONTINUA)

martedì 1 settembre 2015

Primo settembre

Non molto tempo fa, non ricordo dove, ho letto che un bravo blogger deve tenere aggiornato giornalmente il suo spazio. Niente di piu' vero.
Io che sono un cazzaro professionista mi adeguo invece al mio consueto procrastinare, incolpo il funzionamento a singhiozzo del mio maltrattato e vecchio computer, mi affido al personale odio viscerale verso la tastiera touch screen del tablet o cosa ben piu' meschina mi giustifico tirando in ballo le vacanze estive di mia figlia, quindi al suo bisogno di avere vicino una guida e un compagno di giochi.
Alla fine mi sono goduto una discreta estate fiamminga, due belle gite in Italia, senza appoggiare gli occhi sullo schermo se non per qualche aggiornamento dei social network e le varie letture di giornali e siti cestistici.

Ma ora, e il meteo di Gent ce lo ricorda con un triste grigio, l'estate sta finendo (cit. Righeira) e un classico di questo periodo e' il ritorno a scuola.

Come genitore sono al mio terzo primo giorno di scuola e stamattina si vedeva tutta l'esperienza, l'entusiasmo controllato, il controllo della situazione.
Ore sette sveglia, sette e due minuti io in piedi, sette e dodici mia moglie in piedi, quasi sette e venticinque la bimba stile zombie si adagia da letto a divano come un acaro, flebo di succo di frutta e cereali, preparazione dello zainetto senza dover consultare le indicazioni della maestra, vestito dell'occasione per l'alunna, un paio di pedalate e ci siamo.

Il cortile della scuola e' pieno di matricole, zaini scintillanti, genitori emozionati, bambini con negli occhi la sorpresa e una bella tensione, io e la piccola italo-lituano-belga dimenticando i lucciconi di due anni fa facciamo gli sgamati e ci ritiriamo su una panchina laterale con la spocchia di chi sa gia' quelo che sta per succedere. Ecco la campanella, tutti corrono verso il portone, noi no: ci alziamo con calma saltiamo la fila di quelli che chiedono informazioni sui corridoi da seguire per arrivare alla classe, guardando la coda quasi con sdegno.
Arriviamo in aula quasi per primi e l'esperta scolara si organizza come e' abituata: cambio scarpe e consapevole utilizzo dei vari angoli della classe, i colleghi nuovi arrivati rubano con l'occhio ma non la emulano, sono ancora mano nella mano con il papa' o la mamma.
Io la controllo con distacco, la mamma la saluta e ci allontaniamo; solo perche' e' una cosa che si deve fare ci accompagna alla porta e si abbandona ad un abbraccio con relativo bacio, per poi girarsi e tornare ai suoi affari.

Guadagnando l'uscita comprendo di essere rientrato nel solito tran-tran: varie miss tra maestre e mamme, la piccola Istambul femminile che si ritrova, il papa' peace and love, quello simile a zio Jesse Duke e quello a Nosferatu il principe delle tenebre, i ritardatari, i sorridenti pensionati Frank e moglie che a scuola fanno volontariato e sulla soglia prima di uscire la seria, rigida ed austera direttrice che stringe la mano a tutti i genitori in uscita accompagnando un severo: dag!, la strada di casa, il blog.


martedì 16 giugno 2015

Guerra alla Francia


Sono rimasto molto colpito da quello che sta succedendo a Ventimiglia (forse Venticinquemiglia, dopo l'avvento del governatore Toti in Liguria, lo stesso che ha dato supporto morale ai tre, 3, maro' in India) dove centinaia di emigranti sono stati bloccati con la forza alla frontiera francese. 
Prima di scrivere frontiera, ho dovuto tirare questa parola fuori dalla naftalina, togliere la polvere e riportarla sul testo. 
Le immagini dei telegiornali mostrano il Ponte San Ludovico con polizia francese da una parte e italiana dall'altra che evidentemente attendono istruzioni. Le autorita' francesi smentiscono categoricamente che le frontiere (coff, coff, ancora polvere!) siano chiuse, ma gli extracomunitari che vogliono anche solo transitare per la Francia sono impossibilitati a farlo, quindi?
 I migranti hanno fatto capire bene che  indietro non tornano, rinunciano ad una registrazione in Italia perche' non e' questa la loro destinazione, minacciano di buttarsi a mare. 

Non va meglio in alcune stazioni ferroviarie, su tutte Milano Centrale, dove la Croce Rossa e il volontariato stanno gestendo con cuore ed orgoglio la situazione.

Tutti questi spunti sono il frutto di una veloce e probabilmente superficiale lettura di un unico quotidiano nazionale on line; ovviamente nell'home page queste persone  sono relegate alla quarta-quinta notizia dopo gli sproloqui della nostra classe dirigente, la vittoria (o comunque la non sconfitta) di tutti alle amministrative, qualche macabro fatto di cronaca che fa audience, e il calcio.

Dopo questa brevissima e poco circostanziata premessa volevo formularvi la mia soluzione, forse semplicistica ma sicuramente motivata. 

Nel 1986 ero al Q di Ibiza, la discoteca piu' trendy dell'epoca, quella che lancio' l'istriano Sandy Marton, quando con ancora negli occhi l'urlo di Tardelli di quattro anni prima, seguivo un palpitante Francia-Italia di un triste azzurro mondiale messicano. Due a zero per i galletti, vado a memoria: Platini e Stopyra ma posso sbagliare. Avevo dodici anni mia sorella sei, mio padre e mia madre attorno ai trenta e chiaramente stavamo loro rovinando le vacanze in un posto cool.

Forse li' e' iniziata la mia personale poca simpatia per i transalpini, senza scomodare la persin troppo inflazionata sorella di Zidane, con relativa testata a quel pessimo elemento di Materazzi.
Sembrera' futile il motivo dell'antipatia soprattutto se confrontata con la serissima premessa che ha iniziato questo post, sta di fatto che mi sembra necessario redigere una dichiarazione di guerra alla Francia.
E mentre penso veramente come potrebbe essere articolato un simile documento, il sottofondo musicale che ho scelto per accompagnare il tichettio della tastiera del pc aumenta ancora di piu' la mia consapevolezza; ispirato dall' immortale Freak Antoni e dalla sua nobile ciurma, con la loro "Riprendiamoci la Corsica" decido  che l'azione e la conseguente strategia e' fatta. 
Sono un allenatore sportivo, magari non un generale, ma posso discutere di strategia con coscienza di causa. 
Lo dice Freak lo confermo io: la chiave e' la Corsica e abbiamo anche una motivazione: Bonaparte era italiano qualche diritto lo abbiamo… Agiremo d'estate perche': un gesto gratuito ma fiero giocheremo sul relax vacanziero approfittiamo dello svacco salottiero. Ma dobbiamo essre convinti perche':  se tu non vuoi esporti forse è meglio che non parti.
Abbiamo un ripiego: se va male, proveremo con la Svizzera. 

Potra' essere una soluzione paradossale, triste, ridicola ed ignorante, ma la situazione che stiamo vedendo a Ventimiglia e a Milano Centrale in qualsiasi telegiornale non lo e' anche?

martedì 9 giugno 2015

RUSPE

In questi giorni mi sono tornate in mente le parole del pubblico ministero Katzman al processo Sacco-Vanzetti:

ma quali testimoni, una fila di squallidi personaggi usciti dai bassifondi della nostra societa', miserabili straccioni.
Non ingiurio nessuno se dico che i testimoni italiani sono meno attendibili. Certo fa male al cuore vedere dei poveretti arrivati dai paesi piu' lontani e miserandi, incivili, bisogna pur dirlo.
Italiani, Greci, Portoricani, Polacchi, Cileni fa pena certo, pensare ai loro sforzi inumani per mettere radici in una civilta' superiore, cercare di adeguarsi ai nostri costumi, alla nostra mentalita'.
Signori membri della giuria, quale razzismo peggiore di chi come la difesa vuole contrapporre a leali cittadini americani, testimoni ineccepibili e coscienziosi, una massa di poveri immigrati, gente che non sa nulla dei nostri principi nazionali, dei grandi ideali di democrazia e giustizia che regolano la nostra societa, individui che non parlano neanche la nostra lingua.
E' gente come questa che rappresenta il maggior pericolo per le nostre istituzioni, dobbiamo aver comprensione, certo, ma non fino al punto di mettere in pericolo.
Sapete che tra gli italiani ci sono riti di sangue, in cui il sangue del maestro, viene materialmente mescolato a quello del discepolo, del nuovo iniziato. Barbari! Barbari! 


Aggiungo: ruspe!!!




lunedì 8 giugno 2015

L'inutile fuga

Guido anche se odio farlo, ricordo nel cortile di casa quando da bimbo giocavo con i miei amici e mio padre tornava dal lavoro. Due colpi di clacson, la mia corsa verso l'interruttore del cancello, portone aperto, un cenno con la mano e mio padre mi prende sulle ginocchia mi fa impugnare il volante. Conduco la macchina dentro al garage riempiendo d'orgoglio il "vecchio".
L'ho sempre fatto per lui, in verità non vedevo l'ora di tornare in cortile con i miei compagni di gioco.
Chissa' se e' partito da li' il mio totale disinteresse per automobili e guida.

Ora ho la fortuna di poter fare tutti i miei spostamenti quotidiani in bicicletta o meglio in metro, mezzo rapido, preciso.
Uso la mia utilitaria con pochissimi chilometri, solo nel momento in cui ho pensieri negativi forse perché sono talmente concentrato per fare una cosa che mi viene difficile, che dimentico il resto.
Ho ricordo di mia nonna quando guidava e mi sento come lei, la ricordo dritta, con le mani sul volante messe alle nove ed un quarto, e la testa esattamente incastrata tra la visiera parasole e il volante stesso.
Io sono così, inforco gli occhiali anche se ho una miopia di zero venticinque e solo da un occhio, il codice stradale non prevede per me l'obbligo lenti, metto il sedile a novanta gradi e quasi mai appoggio la schiena, prima di partire controllo la distanza con i pedali e regolo la seduta di conseguenza, provo tutte le luci e le spie, posiziono gli specchietti, insomma faccio tutte quelle manovre che sono obbligatorie per accontentare l'ingegnere all'esame di guida, ma totalmente inutili ora, dato che la mia macchina la porto solo io.

Vado senza meta, parto da Milano scappando negli orari dove il traffico ti da' un po' di tregua.
L'autostrada e'imboccata, mangiare il nastro d'asfalto mi rende invincibile, sto dominando un mio tallone d'Achille con estrema facilita', esorcizzo una mia paura affrontandola.
La pressione sale quando davanti a me transita un veicolo piu' lento, peggio ancora se e' un autoarticolato o un camion. Sono sempre combattuto se rallentare e mettermi dietro, o scalare le marce, mettere la freccia e provare ad andare.
In questi momenti odio me stesso, potevo stare a casa, sul divano a sfogare le mie magagne sui videogames o distrarmi con un film amato  e sicuramente già visto milioni di volte.
Finalmente niente davanti, asfalto, sole all'orizzonte, solo qualche folle che mi passa a sinistra a velocità multabile, la concentrazione non scende mai, non ho il tempo per pensare alle mie beghe personali: al lavoro che va a rilento, se veramente ha avuto senso traslocare nella grande metropoli, alla mia eterna fidanzata che probabilmente non diventerà mai mia moglie, al nostro rapporto che si interromperà di comune accordo dando la colpa alla distanza che ci divide e non al logorio e al poco entusiasmo di qualcosa portato avanti senza mai farsi una domanda.

Solo una piccola sosta, per andare in bagno, bere un caffè'  e mangiare uno snack dolce e mettere un po' di carburante.

Riprendo il percorso, il sole e' basso e' molto più semplice portare la macchina con questa luce, tengo sempre la velocità moderata e costante, più si accumulano i chilometri più mi rendo conto che i pensieri della quotidianità riescono a farsi spazio nella fuga.
Butto l'occhio sulla destra un cartello verde mi dice prossima uscita "Caianello", esco e rientro dall'autostrada e' ora di tornare.

martedì 26 maggio 2015

PROVERBI

Avevo un amico diplomatico che spesso veniva a cena casa mia. Ogni volta mi chiedeva: cosa porto? Io rispondevo: delle baguette, delle michette, delle ciabattine o dei semplici panini. Lui puntualmente veniva a mani vuote.
Ambasciator non porta pane.

Era nettamente lo stallone piu' rappresentativo del maneggio, nessuna sella per lui, zero briglie, nessun sentiero battuto, lui e' il re e il suo compito e' solo quello di continuare la stirpe.
Da un po' di tempo pero' lo stallone Donato non sta bene e solo il suo fedele amico, lo stalliere Carlo, e' stato capace di avvicinarlo, ma anche lui dopo le solite carezze amichevoli appena  toccato il muso ha ricevuto un netto rifiuto.
Individuato il problema Carlo ha avvisato il veterinario del dolore mascellare di Donato, ma sfidando qualsiasi logica deontologica, il medico ha rifiutato la visita.
E cosi' tutti gli altri colleghi convocati dai responsabili del maneggio.
Al caval Donato non si guarda in bocca.

Il suo mondo era in equilibrio su uno scoglio a farsi baciare dal sole, tra un tuffo e qualcha bracciata tra le onde.
L'estate pero' l'aveva tradito, la pioggia deprimeva il suo essere.
Forse con questa giustificazione motivava il suo vizio della bottiglia: barbera, sangiovese, terrano o anche qualche dozzinale tinto da sangria spagnola alla sera lo accompagnavano fino al primo sonno.
Rosso di sera bel tempo si spera.

L'apicultore si chiede se e' ancora il caso di mantenere le arnie, ormai il miele e la pappa reale delle grandi produzioni fanno si che i suoi incassi siano ai minimi termini.
Ma lui ama quegli animali, li riconosce ad uno ad uno e non solo la regina facilmente rintracciabile date le dimensioni superiori.
Per qualche sbavatura della sfumatura del nero sul giallo ma soprattutto per la sua propensione al ritardo riconosce sempre Tito, la sua ape preferita.
Quando passa a controllare lui arriva sempre dopo le altre, appesantito, decolla da un fiore dopo aver copiosamente succhiato del polline.
L'ape Tito vien mangiando.

Era da tempo che lei organizzava quella serata, il vestito lungo, la prenotazione al miglior ristorante e i biglietti per il tanto aspettato concerto. L'emozione correva sulla sua schiena ma percepiva un po' di freddezza dal suo lui.
In effetti non provava la stessa sensazione anzi, il suo bel gessato blu lo indossava con piacere, il ristorante era di suo alto gradimento, ma il concerto no, quello non lo capiva, non condivideva la passione per il cantante di Furia cavallo del west.
Lui alla fine si presento' al teatro, ma a spettacolo ampiamente ultimato, la raggiunse per un cocktail nella brasserie del foyer del teatro.
Meglio tardi che Mal.

Nella campagna non c'e' un buon clima, tutti tendono a stare per conto proprio, l'egoismo impera.
I piselli chiusi nei loro bacelli si sopportano in silenzio, le fragole ormai pesanti sono chinate verso la terra, i pomodori attaccati al loro palo cercano una difficile arrampicata. Solo le ciliegie magari timidamente, ecco perche' quel colore rosso, cercano un minimo di coinvolgimento tra di loro, si incoraggiano e si tengono per mano.
Una ciliegia tira l'altra. 


La bambina passa le ore con i suoi coniglietti di pezza, i suoi giocattoli preferiti dalla culla fino ad ora.
Quando la mamma le permette di vedere la tv, si piazza sul divano e aspetta il suo mito: Bugs Bunny, il furbo divoratore di carote.
Anche da piccolina pero' ha sempre avuto chiara la differenza tra l'animale vivo, quelli di peluches e i disegni della televisione, si ispirava agli ultimi per poi ambire a gestire e curare il primo, solo talvolta tentava di chiedere: Mamma, mi compri uno vero? E la mamma rispondeva sempre nella stessa maniera: Primo non e' vero ma e' vivo, poi un animale e' una responsabilita' ancora troppo grande per te, ne riparleremo quando sarai piu' grande.
Il tempo e' passato ma per altri problemi, quel leporide non e' mai arrivato.
La bimba ci pensa sempre, e l'occhio triste e' sicuramente dovuto a questa carenza di affetto, ma anche alla mancanza di sonno, infatti lei sta sveglia ogni notte ad aspettare.
La notte porta coniglio. 


Fiera del Vino 2015.
Un prestigioso sommelier prende la parola davanti ad una platea di neofiti:
Buongiorno a tutti sono qui per rispondere alle vostre domande, per soddisfare le vostre curiosita', c'e' qualcuno che vuole iniziare, qualche coraggioso che prende per primo la parola?

No.
A buon intenditor poche parole.

venerdì 8 maggio 2015

Papa cool

Direttamente da basketnet.it riportiamo l'articolo di Lelefante:


Sono gli episodi capitati, magari qualche lettura o il navigare in internet che ti danno coscienza su un argomento a cui prima non avevi dedicato un'opinione.
Il rapporto allenatore/istruttore - genitore e' uno di quei temi che forse si tratta sempre con superficialità.
Quando ancora minorenne mi regalavano gloria chiamandomi assistente o vice, ma in verita' ero uno spostabirilli o al massimo un ostacolo mobile, sentivo dai miei guru la classica frase: la squadra migliore e' quella composta da orfani.
Se da giovane ho ripetuto questo mantra dopo l'ho totalmente rinnegato, esattamente come mi dissocio da molti di quei cartelli che girano sulla rete dove si indica un galateo di comportamento dei parenti presenti in tribuna.
Mi sembrano molto banali ed ipocriti.
L'educazione del genitore per me va a pari passo con quella che la società imprime sull'istruttore, ai suoi tesserati quindi ai ragazzi.
Mettere un cartello in tribuna e' molto semplice, fa certamente scena, soprattutto se fotografato e condiviso, ma conta poco.
Si badi bene, chi scrive ha avuto in qualche occasione problemi con i genitori degli atleti anche di eta' molto diverse, ammetto di non esser mai stato diplomatico e tanto meno malleabile. Anche nelle ottime relazioni (ci sono state anche queste) non ho mai ritenuto la confidenza una giusta maniera per gestire quel sottile filo.
Credo nelle riunioni periodiche, in un colloquio alla fine di un allenamento, sempre nel rispetto dei ruoli e nella fiducia.
Non dobbiamo noi operatori delle società mai dimenticare che sono i genitori che portano i ragazzi all'allenamento, sempre loro pagano le rette che sono fondamentali per portare a casa la stagione agonistica, per non parlare poi delle trasferte dove spesso con tre macchine risolviamo il problema.
Alla base di tutto c'e' una parola chiave sola: educazione.
Educazione prima comportamentale poi sportiva, un bambino che entra in palestra e saluta e' già un'ottima base per l'istruttore.
Da recente genitore insisto molto sulla comunicazione di mia figlia: il saluto, per piacere e per favore, grazie, prego, scusa sono fondamentali per il mio modo di vedere la sua crescita e le deve usare a menadito con la famiglia ma soprattutto nei rapporti con il mondo esterno.

Giorgia Jurga ora che il sole bacia Gent (Belgio) passa il post scuola ai giardinetti con vari interessi, dalla raccolta di fiori e sassi, ai classici giochi e solo nell'ultimo mese ha dato segni di propensione ad una generica attività motoria.
Una corsa a ritmi diversi, arrampicare, un maggiore coraggio in salti e tuffi sulla sabbia.
In maniera del tutto spontanea nelle nostre uscite verso il campo giochi vicino alla bellissima cattedrale di Sint Jacob, l'altro giorno si e' trascinata la sua palla preferita, quella di Elsa, Anna e Olaf, protagonisti del film Frozen. Se avete una figlia under dieci sapete di cosa parlo. Ammetto che nonostante la palla non sia arancione e sia sprovvista di spicchi, l'emozione mi e' corsa sulla schiena.
Arrivati alla panchina base, parcheggio la bicicletta, non ho forzato la mano e con distacco ho chiesto come sempre: altalena? Purtroppo la risposta e' stata si, quindi inutile attesa con pallone sotto braccio.

GJ pero' recupera immediatamente punti, blocca l'altalena e chiede: giochiamo a palla? Certo - e poi pandemonio: andiamo a giocare al campo da basket?
Groppo alla gola, bruschetta nell'occhio: Va bene, piccola!
Un misto di palleggi e passaggi, corsa (solo sua!) e calcio, ma va tutto bene, l'importante e' calcare quell'asfalto, stare nell'ombra del canestro, pestare le righe bianche.
Il mio ruolo e' di spalla, di sponda, cosi' posso guardarmi in giro e scorgo padre e figlio con palloni da basket sgargianti, il papa' e' molto cool, jeans stretti, maglietta che sembra infilata a caso ma che invece ha una sua precisa vestibilita', barba rasa e curata e occhialino come tipico del finto nerd hipster, berretto di lana nonostante i venti gradi. Figlio biondo che sfonda di poco i dieci anni, secco, jeans e sneakers, felpa con il cappuccio.
Il loro sembra il classico gioco del giro del mondo, il biondino e' un po' impostato si vede che frequenta il minibasket ma magari qualche allenamento l'ha saltato, il padre e' un giocatore da parrocchia non ha particolare dimestichezza.
Incrociamo un paio di volte le nostre traiettorie, io rendo la palla esageratemente gonfia, il bimbo abbassa gli occhi senza neanche un timido Dank u.
La scena clou arriva su un tiro della media del bimbo, che sbatte sul primo ferro e la palla schizza verso la meta' campo, la recupera, e torna verso la posizione lasciata con una partenza in palleggio con la mano destra.
Ed e' in quel frangente che il papa' lanciando il cappello di lana interviene, fa ampi cenni che il suo palleggio e' alto, che i suoi occhi guardano l'asfalto, e' evidente che questa e' un'osservazione che il bimbo riceve spesso, perché il padre e' molto deluso.
Per tutta risposta il biondo classe duemilatre circa (ho ancora questa influenza da coach: non quanti anni hai ma di che anno sei; d'altronde il mio codice bancomat e il pin del telefono li ricordo con i nomi di ex atleti e collego la loro annata….) scaglia la sfera sulla tabella e se ne va con un labiale che non percepisco, ma l'espressione e' chiara.
Si siede sulla panca, il papa' lo raggiunge, conversano per un paio di minuti, poi il papa' torna ad allenare il suo tiro mentre il bimbo va in altalena.

Caro padre molto cool, mi permetto di consigliarti, lascia stare il palleggio del ragazzo, la prossima volta porta una palla sola e gioca con tuo figlio e soprattutto digli di ringraziare, salutare e sorridere, sempre. Soprattutto al campetto.

lunedì 27 aprile 2015

Disagio sportivo

Probabilmente se seguite il calcio di vertice italiano non condividerete nulla di questo post.
Sono stato tifoso anche acceso, da chiacchiera da bar e commenti del lunedì; poi non mi sono adeguato alle pastette, ai biscotti, al delinquere, al malcostume e anche alla violenza.
Sono juventino, un amore giovanile, ma ormai più che un matrimonio e' una relazione aperta, come con quelle donne con cui sei stato bene ma ormai hai consumato la passione; lei ha la sua vita, tu la tua.
Un saluto e un caffè lo si prende ancora volentieri assieme ma nulla più.

Non posso sopportare i titoli dei giornalisti, i salotti delle televisioni di second'ordine, i processi, gli appelli e i contrappelli, i giochi di parole come zozzoneri, rubentus, merdazzurri, di cui non trovo alcun collegamento, nessuna capacita' di giocare con le parole e lettere, nessun significato.

Poi anche tecnicamente non ho una preparazione, per me lo spettacolo e' il goal, non godo per un fuorigioco fatto bene o una diagonale perfetta.
Come giocatore sono stato un bomber dell'asfalto di Poggi Paese, ma giocavo sulla quantità delle presenze, la qualità era di Muci, Frapo, Tony e Roby.
Al massimo posso ricordare con poca modestia la scarpa d'oro vinta e consegnatami da Rino Gandini, mitico portiere della Triestina e padre dell'ex pivot della Pallacanestro Trieste, come miglior marcatore ai Giochi di Settembre della mitica parrocchia Gesu' Divino Operaio (GDO per tutti).

Quindi questo deficit di entusiasmo per il calcio di vertice, la mia carenza tecnica sommata alla mia lontananza da casa ha scatenato ulteriormente in me il tifo per la squadra della mia città, l'Unione, la Triestina.
La seguo nonostante la categoria, i faccendieri che ne hanno la gestione, la carenza cronica di risultato. Insomma amore vero, per la maglia, per il significato dell'Alabarda, per la città.

Quindi leggo di calcio minore, apprezzandolo pure.
Sia chiaro la Triestina per me e' serie B o C1, nutro sempre il sogno di vedere almeno un campionato al Rocco di serie A, solo per la soddisfazione di tifoso.
Pero' e' vero che nella mia città il calcio minore e da sempre seguito ed amato, ricordo che il mitico settimanale Triestesport fece molti anni fa un'osservazione centrata ed interessante di come il pubblico presente al Rocco (o ancora al Pino Grezar?) potrebbe essere integrato in maniera importante con il numero di tifosi che seguono settimanalmente i vari tornei di calcio a sette.

Il calcio a sette sotto San Giusto e' un'istituzione, in una città in costante difficoltà per carenza di strutture sportive, il campo a sette e' una sicurezza, ogni quartiere ne ha almeno uno.
Che poi il calcio a sette e' tipicamente triestino, infatti in giro ho sentito il calcio a cinque o calcetto, futsal per i più fighi, poi il calciotto oppure aspettare l'estate per bruciarsi le piante dei piedi sulla sabbia rovente per il beach soccer.

Una vera galassia di calcio minore, forse più sano, che potrebbe rianimare la passione di molti delusi; magari potrebbe essere più organizzato, più corporativo.
Allora lancio a qualche mio amico calcisticamente più preparato questa idea: istituire una federazione parallela e in antitesi con i dinosauri di Tavecchio, un team che sappia valorizzare il meglio dello sport, della vita sportiva di tutti i giorni.
Il calcio minore che non segue la politica litigiosa e inconcludente e la società allo sbando adeguandosi a quello che ormai hanno fatto i protagonisti della serie A. Il calcio minore che si aggrega in tutte le sue forme, che si allea e forma un corpo solo.

Una federazione italiana calcio amatoriale, dove si propagandano alti valori morali, e si ha un unico obbiettivo comune tra dirigenti, allenatori, giocatori, arbitri e tifosi.
Insomma un mondo, una galassia, che giri intorno alla Federazione Italiana Calcio Amatoriale.
Un mondo, una galassia che giri intorno alla FICA.

mercoledì 22 aprile 2015

Sono ricco

Influenzato dai racconti del sito, il fidato economista del blog si cimenta in una storia.
Ha alzato insomma la testa dai suoi weekly pillows, ha preso la penna e ha prodotto: Sono ricco.

Grazie coach K.



Sono ricco… d’età ed esperienze e ho i miei lussi: mi estraneo, quando qualcosa non mi piace o mi spazientisco, mi isolo… e ricordo. E’ un gran lusso, perché alla mia età ti lasciano in pace, non insistono o ti pungolano, come facevano molti anni fa.
Da sempre, la prima volta credo a 6 anni, se mi annoiavo me ne andavo, non fisicamente, ma partivo per i miei viaggi mentali, mi distraevo, pensavo a fantasie, immaginavo. Ma era praticamente impossibile, venivo richiamato alla realtà, mi strattonavano, mi prendevano in giro. Ora è diverso: il passato mi fa vivere il presente, ricordo e vago con le molte cose occorse alla mia vita, il presente è miserabile: vivo con figli e nipoti, e mi sposto dal letto alla poltrona.
Oggi però è il mio compleanno ed hanno deciso di portarmi in città per farmi un regalo. Io, al solito, non ho chiesto nulla, ma per i nipotini bisognava portare fuori il nonno e comprargli… una pipa. L’ho detto che sono ricco: ricordo e fumo. Purtroppo l’ultima pipa si è rotta e non riesco ad aspirare più bene ma, ripeto, non ho chiesto nulla. Continuavo a fumarla perché anch’essa legata ad un ricordo, ero stato in America un anno, a studiare medicina; ero arrivato un po’ prima delle vacanze di natale, sbarcato a New York ed accolto dalla prima grande nevicata, faceva freddo ed il vento mi impediva di accendermi la classica sigaretta. Avevo un paio di giorni liberi, prima di cominciare gli studi e così cominciai a gironzolare, mentre camminavo per la Lexington, con le scarpe sommerse dalla neve, scorsi una vetrina con dentro della gente che sembrava godersela alla grande, avvolta da nuvole di fumo. Non capivo bene di cosa si trattasse così ci ripassai davanti un’altra volta e poi decisi di entrare.
Faceva caldo, salutai stentatamente e chiesi di togliermi il cappotto. Fui accolto con gentilezza ed invitato a sedere. Mi venne chiesto cosa volessi ed io domandai un tè. Il mio ospite mi sorrise e mi spiego che quella era una “fumeria”, ovvero un posto dove si chiacchierava tra una boccata e l’altra; in effetti guardandomi attorno scorsi varie persone a fumare sigari o tirare la pipa. Le mie sigarette erano decisamente fuori posto per cui chiesi un sigaro e come risposta ottenni un sorriso. Mi venne fatto cenno di alzarmi e fui introdotto in un'altra stanza dove tabacchi e sigari riempivano intere pareti, non volevo andarmene visto il tepore ma ero evidentemente imbarazzato, con mio grande sollievo (e considerato il mio abbigliamento non proprio sfarzoso) mi venne consigliato un Hoyo de Monterrey di provenienza cubana. Per me era la prima volta, lo accessi con non poche difficoltà e mi adagiai su una comoda poltrona pensando al mio futuro, mi ero appena congedato dall’esercito e cercavo una specializzazione per aprire un mio studio di medicina privato, sognavo una casa con un caminetto, una moglie yankee e qualche pargolo, insomma la tipica vita media americana.
Dopo quasi tre quarti d’ora, in cui forse mi ero pure appisolato, decisi che era arrivato il momento di tornare a bighellonare, ma vista la gentilezza riservatami volli assolutamente comprare qualcosa, un oggetto che mi rimanesse nel tempo e mi ricordasse il primo impatto con gli Stati Uniti, comprai la mia prima pipa, una Peterson.
Ora a distanza di più di 45 anni mi ritrovo di nuovo col cappotto addosso pronto ad uscire coi nipoti a guidarmi in un piccolo negozietto dotato di varie pipe e oggetti da fumo.
Ho sempre freddo, indosso un cappotto con sotto una sciarpa, un maglione di lana grossa ed una camicia di flanella, calze da montagna, pantaloni a coste di velluto ed il mio inseparabile cappello pesante, acquistato dopo 20 minuti di permanenza  a Boston, grazie al vento proveniente dall’Artico.
Entriamo e, stranamente, nessuno fuma…ritorno ai ricordi…ho un nipote per mano ed appena il commesso ci mostra le sue numerose pipe i pargoli restano esterrefatti, sono tutte luccicanti, pulite e odorano di nuovo. Ho sempre raccontato poco di me, alle domande rispondevo con altre domande, sempre per il fatto che mi estraniavo, e mi ricapita pure ora.
Poi, ad un certo punto, il nipotino più piccolo, con un innocente grazia, mi gira il mento, in modo che lo possa fissare negli occhi, in mezzo a noi una bella pipa, grande, curva, rossa, e le parole mi escono dal cuore, senza che possa trattenerle:
“E’ la stessa che usava il mio amico Sherlock”.

sabato 11 aprile 2015

Pelapatate

Non serve a nulla essere in una metropoli mondiale da nove milioni di abitanti se poi rimani chiuso in una stanza da poco più di venti metri quadrati che affittano come monolocale o più elegantemente studio.
La stanchezza pero' non mi fa muovere da questo buco per quel poco tempo libero che il mio lavoro mi permette. Quindi mi adagio sul letto magari con un sottofondo musicale e riposo senza dormire. Per non avere cattivi pensieri, alimento un po' la nostalgia, i ricordi non sono mai cosa negativa per me.

Ricordo i miei pomeriggi invernali nella mia cameretta a casa dei miei genitori, completamente azzurra come conveniva per i figli maschi: copriletto, abat jour, gli elementi più piccoli del grande armadio tutto con il colore del cielo terso.
Avevo i miei giochi, ma passavo molto tempo alla scrivania, disegnavo molto e riportavo le scritte che vedevo in giro, da quelle sui muri della città alle insegne luminose dei negozi e della pubblicità. Non mi interessava il testo, il significato, ma il carattere, la grafica, quello che oggi grazie ai programmi di videoscrittura dei computer chiamiamo fonts.
La mamma passava per la stanza e diceva: i compiti? Chiedevo un aiuto ma lei rispondeva: pelo le patate poi arrivo! Purtroppo non arrivava mai.

A scuola galleggiavo, senza infamia e senza lode, fondamentalmente come molti ragazzi non ci andavo volentieri. Ricordo con piacere solo alcuni insegnanti, altri li ho totalmente rimossi, nessun odio comunque.
La mamma andava a parlare con i prof solo nei colloqui collegiali, quelli periodici, al pomeriggio. Tornava a casa e mi diceva sempre la solita cosa, il banale e usurato "sei intelligente ma ti applichi poco" replicavo "vedi, mamma…" ma non facevo in tempo a proseguire che lei incalzava "mi dici dopo, devo correre a pelare le patate". Poi la cena, un film e buonanotte.

Ero ancora forse alle medie quando disegnai una scritta "Nutella" diversa dalla solita a cui siamo abituati, ero soddisfatto, felice, volevo mandarla alla fabbrica per sottoporla al direttore, al capo, al padrone.
Mi brillavano gli occhi davanti a quel foglio.
"Mamma, vieni a vedere cosa ho scritto!"
"Preparati per andare a calcio"
"Mi accompagni?"
"No.Devo preparare la cena per stasera, sto pelando le patate."

Scuola e calcio, anche a cena gli argomenti con papa' erano questi, per poco, mangiando, poi qualche minuto prima di andare a letto.

La mia fortuna e' arrivata nella mia estate da quasi maggiorenne, ho trovato un lavoro stagionale in uno stabilimento balneare, facevo piccole manutenzioni, curavo la spiaggia praticamente l'assistente dell'assistente bagnanti. Ad ottobre poi il boss mi ha confermato, avanti con la manutenzione e garzone al bar per tutto l'anno, due lire in tasca e tanti saluti a banchi, gessetti e lavagna.
Tornavo a casa stanco e felice, poi con gli amici potevo uscire quasi ogni sera grazie alla paga d'apprendista. Compiuta la maggiore eta' ho potuto anche comprarmi una macchina, una Fiesta, nera, con pochi chilometri.
Con le chiavi in mano sono arrivato a casa:
"Mamma, guarda, la macchina nuova! Scendiamo a vederla! Ti porto a fare un giro!"
"Magari dopo, semmai mi affaccio alla finestra, dalla cucina vedo il parcheggio, ora devo pelare le patate"

La Fiesta come il lavoro e' durato poco.
La vendita del bolide nero e' servita per l'acquisto del biglietto di sola andata per gli Stati Uniti. Tappa quasi obbligata dopo la chiusura definitiva dello stabilimento e la dritta di un cliente del bar che grazie ad un parente mi ha assicurato un posto di lavoro al ristorante di famiglia ad Uptown, Chicago.
Con la valigia pronta ho aspettato papa' che mi ha accompagnato all'aeroporto, la mamma con gli occhi lucidi mi ha stretto in un abbraccio e mi ha velocemente salutato.
"Scusami ma non posso venire, devo pelare le patate"

Ed ora qui in questa stanza con le ore contate prima di correre al ristorante, una via di mezzo tra una tavola calda ed un fast food, dove pero' la carne sa di carne, le verdure di verdure, i piatti sono di ceramica, i bicchieri di vetro e le posate di alluminio, ed io in cucina pelo le patate.

mercoledì 1 aprile 2015

Volontariato

Non ho dovuto sudare poi molto per ottenere le mattine libere.
Dei tre turni di lavoro il pomeriggio e' quello maledetto da tutti, "ci spacca la giornata" e "non puoi far nulla" sono i commenti più inflazionati.
Le notti ormai se le sono divise i più giovani, l'integrazione dello stipendio e' necessaria, pensano di coprire più velocemente il mutuo casa e il debito della macchina, tra un paio d'anni ambiranno anche loro alle mattine come tutti gli altri.
Ho approfittato di questa inclinazione comune per organizzarmi le giornate, e ormai le mie abitudini sono metabolizzate.
 

Il mio tempo libero inizia verso le ventitré quando dopo il percorso in tram arrivo a casa dopo la giornata di lavoro e, caschi il mondo, trovo mia moglie Gloria sul divano, con la televisione accesa, telecomando in mano.
Mi ospita sotto la coperta e ci vediamo un film, talvolta presi dalle chiacchiere perdiamo il filo e riproponiamo lo streaming o il DVD al giorno dopo.
 

Al mattino riesco a rubare almeno mezz'ora di sonno in più grazie all'indipendenza della bimba che si sveglia velocemente e si prepara da sola e alla disponibilità di Gloria che le fa da spalla per qualsiasi cosa.
Di solito arrivo in sala mentre loro fanno colazione, ho già indossato la mia tuta sportiva, facile da vestire in velocità, le saluto poi un po' d'acqua sul viso ed esco con la bimba, tram delle sette e quarantadue, e quelle quattro chiacchiere a cui non potrei mai rinunciare.
Un veloce bacio, e la telefonata di Gloria, "e' a scuola? Tutto ok? Buona giornata a stasera".
 

Sono solo, le mie donne sono ai loro impegni giornalieri, vado al solito bar vicino alla scuola, capuccino-brioches-acqua-giornali, e immancabilmente qualche commento saggio di chi il bar lo vive.
 

Come al solito il percorso di ritorno lo faccio a piedi, passando talvolta a passo di corsa in un piccolo parco dove mi fermo sempre a salutare l'Egidio. Anzi Legidio.
Dalle mie parti non si usa come nel milanese mettere l'articolo al nome proprio ma per l'Egidio, anzi Legidio, e' sempre stato cosi', tanto che qualcuno pensa che effettivamente l'iniziale del nome sia la L.
Legidio e' quasi sempre solo, magari a volte seduto vicino c'e' Bulova (

http://lelebassiblog.blogspot.be/2014/04/bulova.html
) ma non sempre la compagnia e' gradita, Legidio non beve e il frequente e persistente odore d'alcool di Bulova lo nausea.
A differenza di Bulova poi, Legidio non ha un delirio monotematico, lui parla con assoluta lucidità per almeno un paio di minuti, ma se fa una digressione o apre una parentesi, perde completamente il filo del discorso ed inizia uno sproloquio misto di politica, calcio, sue fantasie e gossip di quartiere.
A me passare un'oretta con lui magari prima di fare la spesa non costa nulla, lo invito a bere un caffè lui mi risponde sempre "magari domani" e poi ci sediamo sempre alla solita panchina.
In queste abitudini si e' inserito un signore che porta sempre il suo piccolo cane a passeggio, un uomo distinto, con un loden verde e degli occhiali tondi, il cranio raso e una faccia simpatica, lui ci guarda ci sorride e procede con il bassotto.
Una mattina l'ho visto al bar anche lui con la sua tazzina e la sua brioches, mi ha riconosciuto e sorriso, poi uscendo il barista lo ha salutato: A domani, professor Bonetti!

Il dottor Bonetti, luminare della psichiatria, apprezzato professionista, discusso per le sue pubblicazioni, uomo di raffinata intelligenza, creatore di opinione.
Ho letto un suo libro dove sintetizzava il lavoro suo e delle sue equipe lungo il passare degli anni, il continuo aggiornamento. Spiega cos'erano veramente i manicomi, le case di cura e le prigioni psichiatriche. Un libro che sprizzava passione, una scrittura che mi ha preso totalmente. Appena lo incrocio di nuovo lo fermo il prof anche solo per stringergli la mano.

Una mattina si parlava con Legidio di un piccolo episodio di delinquenza successa in quartiere, un'aggressione ad un'anziana a scopo di rapina, finita in maniera goffa e per fortuna senza conseguenze fisiche ed economiche per la nonna.
Ma sono bastate le parole "rubare" e "rapina", per passare ad uno scandalo calcistico di un rigore non dato, e la frittata dell'Egidio (dellegidio?) e' stata servita: da palo in frasca in un nanosecondo.
A me piace sentirlo comunque, ogni tanto annuisco, quasi mai rispondo, ho capito che preferisce non essere interrotto ma solo ascoltato.
Ascolto e osservo in giro, quando passa il dottor Bonetti, fermo Legidio lo saluto, e vado verso lo psichiatra.

"Buongiorno, dottore!"
"Buongiorno, brava persona!"

Mi ha preso alla sprovvista: "grazie, ma perché?"
"La vedo sempre chiacchierare con Legidio"
"Sa, ho le mattine libere, al parco sto bene, lo ascolto volentieri spesso ha sprazzi di grande intelligenza e cultura e poi mi fa male vederlo parlare da solo"
"Lo so, caro, ma vede….Legidio non parla da solo, parla con gli angeli"

venerdì 27 marzo 2015

Convivenza moderna

La mia e' una stanza grande: oltre al letto ad una piazza e mezza ho una bella poltrona che ormai ha la mia forma impressa sui cuscini verdi, credo di esser stato il suo unico ospite da quando e' stata montata.
 

La televisione e lo stereo un po' anni ottanta si danno il cambio turno, mi piace avere sempre un sottofondo di musica e parole mentre leggo i giornali o semplicemente penso.
Fino un po' di tempo fa avevo anche quelle dannate consolle che simulano qualsiasi tipo di sport, avventura o battaglia, in maniera coinvolgente, poi troppi aggiornamenti, troppe versioni, troppi soldi.
 

D'inverno l'orario centralizzato del riscaldamento del condominio assicura un tepore anche quando vedi fuori dalla finestra il vento soffiare e la neve imbiancare la strada. D'estate invece basta andare in soggiorno e regolare il condizionatore d'aria per non bagnare di sudore le lenzuola e riposare in maniera adeguata.
Saltuariamente sul mio tavolino collego un piccolo frigorifero da automobile per tenermi qualche bibita fresca.
 

Il rapporto con gli altri inquilini e' ai minimi strorici, li incrocio talvolta nel corridoio quando devo uscire dalla mia stanza per lavarmi o pisciare.
Passando li vedo in salone, sempre davanti alla TV, sento bofonchiare qualcosa che ormai non capisco più e non mi sembra interessante.


Siamo da troppi anni qua dentro e non abbiamo forse più niente da dirci.
 

Non abbiamo più novità di cui parlare probabilmente perché ormai ci basta quello che abbiamo, ci bastiamo in queste quattro mura, non usciamo se non per fare una spesa.
A me va bene cosi'. 

Fino a qualche anno fa almeno uno dei due passava a farmi un saluto o magari passavo io, ora non più, il confronto e' casuale.
 

La convivenza e' legata all'arte di ignorarsi forse tutti e tre sappiamo che questo menage e' una miccia pronta ad essere accesa e a far scoppiare una bomba, starà a noi dopo la deflagrazione o far finta di niente o prendere dei provvedimenti. Saremo mai in grado di abbandonare le nostre abitudini per ricominciare? Tornare allo stadio e andare al cinema rinunciando alla Pay Tv? Magari traslocare per abitare in un appartamento caldo d'estate e gelido d'inverno, con spazi angusti, senza parcheggio ed ascensore?
 

E' difficile per me uscire anche per una pizza, preferisco la consegna a domicilio, figurati un trasloco.

Ma qualcosa bisogna pur fare, non si può andare avanti cosi' anche perché: mamma e papa' ormai hanno superato i settanta ed io mi avvicino velocemente ai cinquanta.

venerdì 6 marzo 2015

Arrivederci

Nella vita di ogni giorno sono piuttosto ottimista, obiettivo, non polemico: e' il mio lavoro che mi trasforma. Probabilmente chi mi sente parlare di musica trova dei livelli di presunzione inaccettabili, pensa ad un invidia che mi corrode, ma da quando suono mi sono messo dei paletti, ho seguito dei criteri con coerenza e costanza, qualche risultato l'ho portato a casa, qualche soddisfazione l'ho raccolta.
Allora riconoscendo chi ha più talento, chi e' più bravo, vado avanti seguendo quella strada che non ho trovato pronta ma che ho battuto chilometro per chilometro.

Non contratto alcun ingaggio, ho un prezzo variabile che decido solo io, preferisco un paio di cene a pane e formaggio scaduto piuttosto che scendere a compromessi.
Per l'Inferno il prezzo e' sempre lo stesso, il proprietario Gibi sa esattamente quanto incassa, chi entra e chi non entra quando suono io. Da quando ci sono i messaggini del cellulare, solitamente ad inizio settimana mi arriva un anonimo -Giovedi'- e' Gibi che mi fissa la data.

Dopo una serata all'Inferno, Gibi mi avvicina e mi chiede la disponibilità di suonare per il locale di un suo amico che ha aperto da poco. Il locale si trova ad oltre cento chilometri da casa, Gibi gli ha parlato di me e mi prega di lavorare alle stesse condizioni dell'Inferno.
Accetto. Gibi e' uno sbruffone pieno di se, ma con me e' stato sempre gentile, preciso ed onesto.

La serata non va benissimo il locale nuovo pur essendo molto carino ed organizzato fatica a decollare, ed io non sono quello che si dice un riempipista. Il proprietario amico di Gibi mi ringrazia, mi paga, ma si capisce da come mi liquida che non e' soddisfatto.
Me ne faro' una ragione, ma per stasera e' un problema, in quanto contavo in un passaggio per il ritorno da parte sua o da qualche suo cliente amico o collaboratore.
Sono nel parcheggio di un locale poco frequentato per altro ormai chiuso, nel buio pesto, a due passi da una statale non così' frequentata.
Probabilmente il cachet ricevuto non paga la tariffa extraurbana notturna e i cento chilometri e più di un taxi.
Torno indietro di quindici anni quando con due amici raggiunsi la costa adriatica con l'autostop.

Passa quasi un'ora, e non più di una quindicina di macchine, quando si ferma una vecchia Renault Espace.
Un uomo forse leggermente più vecchio di me alla guida e dietro un signore di almeno sessant'anni che dorme, il sedile centrale vuoto e tutto spostato sulla destra un ragazzo forse ventenne con un casco da moto tra le ginocchia che guarda fuori dal finestrino senza farsi distrarre dalla mia entrata in macchina.
Un saluto rapido e piuttosto timido e imbarazzato, dico la mia destinazione, e l'autista risponde: Ok!Perfetto!Ci passo!

Il silenzio e' irreale non mi fido a dormire, meglio tenere gli occhi aperti, decido di rompere il ghiaccio: Andate tutti dove vado io? Il ragazzo con il casco tra le ginocchia mi dice: Chiedi a lui!  Indicando l'autista che prontamente aggiunge: Passo anche li, quando serve!
Il sessantenne sposta il suo lato di sonno sbattendo il cappello sul finestrino.

Abbastanza turbato dalle risposte decido che e' il caso di restare in silenzio per quanto possibile, penso alla serata nella sua totalità e l'unica cosa che ottengo dal mio rimuginare e': che per essermi fatto più di un'ora di pullman a tardo pomeriggio, aver suonato per quattro gatti, e aver messo a repentaglio la mia esistenza con questo assurdo viaggio in automobile, ho chiesto troppo poco denaro.

Per vincere il sonno mio, ma soprattutto quello possibile e nel caso letale dell'autista, riprovo a parlare: Stai rientrando dal lavoro?
L'autista dopo una smorfia mi risponde: No, non lavoro, ho la fortuna di avere una rendita, grazie a mio nonno che durante la guerra e' riuscito in qualche maniera a lucrare, poi mio padre ha dilapidato tutti i soldi e le attività ma prima di morire ha venduto tutti gli immobili rimasti tranne casa nostra e con quello che ha incassato ha garantito una vita dignitosa a me, dopo di me pero' il nulla.

Penso che probabilmente non ha voglia di parlare e con questa cazzata mi ha zittito, fosse veramente ricco magari qualcosa di meglio di questa Espace che seppur tenuta bene vent'anni li ha tutti, potrebbe avere.
Giro leggermente il collo e con la coda dell'occhio vedo il ragazzino: Tu? Sei un suo parente?
No, sono rimasto in strada con il mio motorino a circa dieci chilometri da casa, non distante da dove sei salito tu, ho fatto l'autostop e lui mi ha tirato su, arrivati davanti a casa mi ha offerto cinquanta euro per restare in macchina a fargli compagnia, con la promessa di essere a casa prima delle otto di mattina.

Altro che non ha voglia di parlare: due a zero per loro.

La giornata sta per iniziare, la luce naturale mi rassicura un po', siamo ormai prossimi all'entrata in città, l'autista mi ha comunicato che mi lascerà assieme al vecchio che continua a dormire, vicino alla stazione, per me e' perfetto in meno di un quarto d'ora a piedi saro' a casa.
In prossimità dell'arrivo mi offro per pagare una colazione ma l'autista ringrazia ma rifiuta, dice che deve proseguire poi mi prega di svegliare il vecchio.
Senza una parola in più di: ciao.Grazie.Prego ripetuti un paio di volte ci lasciamo.

Il vecchio e' ancora assonnato e non si muove benissimo, chiedo se ha bisogno d'aiuto, mi porge il braccio e camminiamo assieme fino al vicino binario dieci del treno, dove si accomoda su una panchina e mi saluta.
 

Ma aspetta un treno?
No, vivo qui.
E dove dorme ?
In macchina del signore di prima, passa a prendermi verso le ventidue. Arrivederci.
Arrivederci

Tre a zero per loro?

venerdì 27 febbraio 2015

Lelefante 6

6.6.6. the number of the Lelefante!!!!


http://basketnet.it/it/tag/lelefante/6376

Fatal Parigi

Come tutti i giovani uomini di cinque centimetri Ignazio Sacco vive da solo, e come da tradizione dopo un periodo d'istruzione suo padre l'ha lasciato, dopo una carezza, un abbraccio ed una stretta di mano, alla sua vita.
Gli uomini di cinque centimetri hanno deciso di vivere così, da soli, per evitare rischi.

Ignazio pero' vuole sfruttare al meglio la sua caratteristica, non vive di nascosto, cerca di essere attento e prudente ma vuole vivere bene la sua esistenza e non essere rintanato come un topo.

Gira il mondo sempre in maniera diversa, si infila in una valigia, in aereoporto passa la sicurezza passando tra le scarpe dei viaggiatori, oppure sfrutta le grandi casse caricate negli aerei merci. Per gli spostamenti medi va sotto i sedili della prima classe dei treni veloci, quando invece deve solo cambiare via di un centro cittadino e' un attimo sfruttare la partenza di un taxi fermo.
Ha visto molte cose, nei grandi eventi c'e' sempre, ha visto quattro Olimpiadi, centinaia di concerti, ha visitato tutti i grandi musei e spesso ha dormito dentro per poter godersi le esposizioni da solo.
Non ha mai fatto file, non ha mai prenotato, nessun sold out od overbooking per lui, nessuna spesa.
Segue il clima, il sole, il tepore. D'altronde gli uomini di cinque centimetri indossano solo una specie di tuta-tunica grigia, utile, con il suo colore neutro a mimetizzarsi o anche, raggomitolandosi, sembrare un rotolino di polvere in casi di emergenza.

Ha una passione per i grandi spettacoli naturali, che a lui regalano dei brividi particolari, ricorda bene il rischio emozionante della grandi cascate, quel forte spostamento d'aria e quella violenta nebulizzazione dell'acqua ha messo alla prova il suo equilibrio, ma ha fatto salire la sua adrenalina.

Oggi e' in quella che e' considerata da molti la città più affascinante del mondo, Parigi.
 

E' stato quasi quaranta ore al Louvre, ha scroccato dalle cucine dei migliori ristoranti qualsiasi assaggio delle raffinatezze pronte ad essere servite, ha gustato qualche goccia di champagne rimasta su alcuni vassoi.
Oggi si sente un VIP, vive a Parigi come i grandi attori, gli uomini potenti, i viziati calciatori.
Esce da un club assieme ad un uomo accompagnato da un'avvenente bionda. La coppia chiama un taxi, l'uomo ordina perentoriamente: Tour Eiffel!
Ignazio non perde l'occasione, sale, scivola fino al sottosedile dell'autista e aspetta. All'arrivo balza fuori e resta a bocca aperta vedendo la torre illuminata e colorata.
Non cerca di intrufolarsi fra i turisti in fila per la scala o l'ascensore, ma prova il brivido di arrampicarsi tra i ferri e i bulloni. Arriva molto in alto e' felice ma stanco.

Vuole continuare la sua serata di lusso e trova un hotel a cinque stelle, ottoni e specchi, drappi e velluti.
Riesce ad entrare in una stanza occupata da una coppia di eleganti anziani che si coricano immediatamente, l'uomo di cinque centimetri si mette sotto il letto e usa la parte finale del piumone per coprirsi.
Le gocce di champagne e la fatica della scalata alla torre fanno si che bastano pochi secondi per entrare nella più profonda fase di sonno.
La moquette e' comoda, il silenzio assoluto e' rotto solo dai due signori che si alzano molto presto per recarsi all'aereoporto.
Ignazio si gira e continua a dormire, finche' la luce del sole lo sveglia, il personale delle pulizie ha tirato le tende e tolto il copriletto, il piumone e le lenzuola. Non si fida ad uscire sono in due, non vuole rischiare e poi un paio di minuti sotto il letto sono ancora utili per sgranchirsi le gambe.

Un grosso rumore, un forte vento, una bocca nera ed enorme che si avvicina e lo aspira, proprio come il granello di polvere che a volte cerca di sembrare.
E' così' che finisce la storia dell'uomo di cinque centimetri.


giovedì 29 gennaio 2015

Battaglia giornaliera

Sono le venti, ore piccole per qualsiasi bambino di Gent o almeno della scuola di Giorgia Jurga, ma lei evidentemente di indole mediterranea tiene botta, bisogna quindi ricorrere a qualsiasi mezzo per farla dormire.
Giochi di parole, letture di libri, ma soprattutto: la storia.
Non ho un buon rapporto con le favole tradizionali, nel senso che conosco quella che puo' essere la morale ma mi confondo con la cronologia degli eventi, particolare fondamentale per una narrazione fluida e precisa.
Allora invento. Talvolta con successo, altre volte meno.

Alcuni particolari per una lettura piu' chiara: GJ sta per Giorgia Jurga, P per papa', scrivero' in maiuscolo fuori dalla conversazione l'atmosfera del colloquio, preciso che quando chiamo mia figlia con il nome esteso, sempre tutto di un fiato e con voce stentorea, Giorgiajurga, vuol dire che voglio far passare la mia alterazione.

GJ: Papa' mi racconti una storia?
P: Certo, allora c'e' una bimba....
GJ: Come si chiama?
P: Non lo so Gio, e' generico, e' una storia.
GJ: Ah, ok! Ma come si chiama?
P: Elena! Si chiama Elena. Posso andare avanti?
GJ: Si!
P: Elena e' a letto e deve dormire.
GJ: Perche'?
P: Senti Giorgiajurga, o parli tu o io racconto la storia, tra un po' devi dormire, non abbiamo molto tempo.

TENSIONE

GJ: Ok papa', scusa!

TENSIONE MITIGATA

P: Niente amore! Allora Elena sta per dormire quando sulla finestra della stanza arriva un uccellino.
GJ: Di che colore e' un uccellino?
P: Blu! L'uccellino e' blu e porta ad Elena una B.
GJ: B come bambini?
P: Si Giorgiajurga, B come bambini. Posso andare avanti?
GJ: Si papa'.
P: Bene! Elena prende la B e la mette sotto il cuscino.
GJ: Anch'io ho il mio cuscino.
P: Si Giorgia anche tu. Elena sta quasi per dormire quando un cagnolino bianco.....
GJ: Bau! Bau!

GELO

P: Il cagnolino porta una U ad Elena che la mette subito sotto il cuscino. Adesso Elena ha una B ed una U. BU. Non fa in tempo a guardare le due lettere assieme che sente un gattino miagolare.
GJ: Un gatto come quello sull' Ipad?
P: Uguale! Preciso! E sai cosa fa? Porta una O. Adesso Elena ha tre lettere vicine BUO.
GJ: BUO. Si, poi?
P: Poi arriva un piccolo lombrico.
GJ: Cos'e' lombrico?
P: Un bruco. Rups in nederlands. E lui porta una N, ora Elena sotto le coperte ha un BUON.
GJ: Sotto le coperte? Ma non erano sotto il cuscino?
P: Sotto le coperte, figurativo, sii elastica. Dal giardino una piccola rana salta e quando arriva all'altezza della finestra lancia in camera una A. Adesso Elena ha la parola BUONA.
GJ: Papa', io sono buona?

STRETTA AL CUORE

P: Si, bella, sei buona. Vuoi dormire?
GJ: Non ancora.

GELO E IMPRECAZIONI MEDITATE

P: Sull'albero vicino alla finestra un gufo guarda dentro la casa, vola per qualche metro e molla a terra una N che Elena raccoglie e mette via. BUONA N! E il gattino dice se vuoi ho un'altra O. Elena la prende.
GJ: Il gatto aveva due O?
P: Sembra. In questo momento arriva una piccola zanzara che vola male, lenta, perche' sente il peso delle due T che tiene nelle zampine. Le lascia sulla coperta ed esce dalla finestra volando veloce.
GJ: Due T? Come il gatto due O? Perche' loro due lettere?
P: La storia e' cosi' Gio', io ti racconto papale papale quello che ho sentito.
GJ: Hmmm!!

DIFFIDENZA SUA, IMBARAZZO MIO.

P: Nella camera il gatto corre come un matto perche' ha visto un piccolo topolino, che prima di scappare passa ad Elena una E.
Elena mette tutto a posto. B U O N A N O T T E. Chiama la mamma e le chiede cosa c'e' scritto.
La mamma risponde: buonanotte!

SILENZIO

GJ: Papa' dormi?