venerdì 9 dicembre 2016

Riccardo, Matilde e il terzo incomodo.

Riccardo è un amico di vecchia data, qualche anno più di me, scapolo impenitente con un buon successo con le donne, ma allergico a rapporti lunghi e stabili; a tutti i rapporti lunghi e stabili, anche noi che ci conosciamo da tanti anni ci sentiamo saltuariamente senza rinfacciarcelo mai, passano mesi ma quando ci incontriamo ogni volta sembra che ci siamo visti due ore prima al bar.
E proprio al bar l'altra sera davanti ad un panino caldo e una birra fresca mi ha detto che ha ricevuto un contatto su Skype che lo ha turbato, anzi in verità mi ha detto stimolato.
Matilde, giovane bionda, avvenente, foto e due righe di presentazione concluse con un provocante: se hai voglia di conoscermi, aggiungimi e rispondimi con una tua descrizione e magari una foto.
Ovviamente Riccardo non è un bambino e la sua esperienza da scafato play boy ha fatto il resto, un po' di informazioni con amici, un paio di copia e incolla googelati e ricerca su vari sui social ha fatto luce sulla bella Matilde.
La tesi finale, provata da molti indizi è che la bella studentessa (professione che lei stessa indica) è un fake utile a chi lo ha messo in rete a ricattare chi, come un pesce lesso, cade davanti ad un corpo femminile perfetto e poco vestito e magari risponde con mail e foto compromettenti.
Questa tesi però è provata ma non garantita, e Riccardo che non ha niente da perdere ha ammesso di esser stato molto attratto allo step successivo, quindi aggiungere il contatto e rispondere con la descrizione.
Qua finisce la storia di Riccardo e Matilde, nel senso che finita la birra e il panino e dopo altre quattro chiacchiere da uomini, io e Riccardo ci siamo salutati e chissà quando ci risentiremo adesso.

Però ammetto che il racconto mi ha fatto sorridere perché la guasconeria di Riccardo ovviamente ha romanzato con fantasia il tutto.
Abbiamo giocato sulla possibile risposta poi tornando a casa con la moto, mi sono messo nei suoi panni e ho formulato la mia eventuale risposta che suona più o meno così:

Cara Matilde,
sono Gabriele ma lo sai già dato che mi hai contattato per prima.
Ho superato da poco gli otto lustri, sono sposato e ho una bella bimba, anche se devo dirti che non mi piace usare l'ausiliare avere riferita alla prole, credo infatti che usare un verbo che indica un possesso riferito ad un essere umano sia culturalmente abominevole.
Fisicamente sono diversamente alto, sono nella soglia minima che l'anagrafe registra come statura media oppure se ti sembra meglio sono al massimo d'altezza della categoria bassa.
Supero la robusta corporatura, ho le maniglie dell'amore e non semplici ma antipanico, davanti presento un cuscinetto di sicurezza.
Sono brizzolato per scelta e ho perso da qualche anno il controllo della mia situazione crinologica che gestisco come un giardino, ogni tanto dò una sfalciata poi lascio che la natura faccia il suo corso.
Da poco meno di dieci anni porto la barba, adesso è di gran moda, la cura è comune a quella dei capelli.
Non ho tatuaggi cosa che mi rende molto misterioso e unico. Mi piace trasgredire.
In questo momento ho lavori saltuari e una sconfinata passione per la pallacanestro che mi fa mettere sempre nelle mie priorità l'andare in palestra ad allenare chiunque ha voglia di correre in un campo da basket.
Sono un appassionato di Forum anche se il taglio alto borghese della Palombelli non mi piace, uso molto Facebook e sto parecchio on line, d'altronde è così che abbiamo avuto l'occasione de scriverci e di gettare le basi di quello che potrà diventare un solido e disinteressato rapporto.
Credo nell'amore libero ma non lo pratico, mai per mia decisione.
Sono mediamente miope per genetica, e non perché si dice che si può diventare ciechi, porto quasi sempre le lenti a contatto non per un fatto estetico ma per migliorare la mia vista periferica.
Non ho un look particolare, magari forzando un po' potresti trovarmi vintage perché uso gli stessi vestiti da almeno una decina d'anni, cambio ciclicamente le scarpe da ginnastica, e compro i jeans quando il tessuto regala esagerate trasparenze.
Mi considero bello e autoironico.
Spero di esser stato abbastanza esauriente senza esser stato prolisso, godibile alla lettura.
Gabriele

Ps: come da te richiesto ti allego la foto, come hai capito sono uno sportivo e qui sono pronto per la piscina, un abbraccio!



giovedì 27 ottobre 2016

Il basKet è morto, evviva il basKet.

È morto il basKet, viva il basKet.

Il concetto di morte è vivo in ogni forma d'arte ed è presente purtroppo nel nostro quotidiano, la morte nella pittura, nella poesia ma talvolta anche nella canzonetta, oltre che nella vita reale. Nostro malgrado la morte fa parte della vita.
Muore il nostro amato gatto, muore un'ideologia, muore una sicurezza; fortunatamente però c'è chi crede nella reincarnazione e chi più razionalmente pensa che dopo ogni morte ci può essere un nuovo inizio.
Il titolo di questo sproloquio richiama l'antica monarchia francese che per rassicurare il popolo nella stessa frase avvisava dell'avvenuta dipartita del sovrano ma immediatamente rassicurava il villano della pronta sostituzione: le roy est mort, vive le roy.

È con questa premessa che chi scrive vuole mettervi in guardia, voi che leggete queste righe a Trieste e che avete la passione verso la pallacanestro.
Forse sono anni che il basket senior sotto San Giusto non sta benissimo, "ga un poca de alterazion" come si dice quando abbiamo quella leggera influenza, ma adesso la situazione è precipitata.
Da questo IPad, da queste dita, tra il serio e il faceto si era già discusso della sciagura continua del coach K sui campi dei mitici tornei non tesserati, muschio cestistico sempre pronto ad accogliere anche chi come il nostro "eroe" sfoga senza competenza le sue repressioni.
Ma adesso si è toccato il fondo, anzi come dicono quelli bravi, si sta scavando, in una profondità sconosciuta, aggiungo.
Sconosciuta perché alla prossima vigilia dei dieci lustri coach K de noaltri si affaccia ad un campionato FIP senza averne titolo, sarà dirigente o capitano non giocatore, comunque sarà a tutti gli effetti il riferimento tecnico di un team, peraltro glorioso.
Tutto ciò è agghiacciante.

È inutile cercare un perché o incolpare chi si è preso una simile responsabilità (qualcuno avrà pure composto il numero del K, non credo si sia autoinvitato al primo allenamento, o no?) ormai il fattaccio è compiuto e altro non possiamo fare che tenere sotto controllo il campionato di promozione triestino, cercando magari il contro altare di questa autentica sciagura, di questa morte cestistica. Trovare la nuova rinascita collegata magari a qualche virtuosismo di qualche ex giocatore che onora la stessa categoria e mette in secondo piano le malefatte del K oppure in qualche società che cerca nella base della promozione un rilancio o un'esperienza da consolidare poi in serie più nobili.

Insomma il basket è veramente morto in questo autunno ma sappiamo che si può rinascere anche dalle ceneri più inquinate.

giovedì 20 ottobre 2016

Bebevionatemi

Sovraesponete Bebe Vio. Sono bebevionato.

Tempo fa mi è capitato di leggere su un giornale un sondaggio sugli argomenti più trattati ai tavolini dei bar.
Onestamente l'esito mi è sembrato abbastanza scontato, gli argomenti ovviamente sono sport, politica, donne/pettegolezzo; mi ha sorpreso però la graduatoria infatti la politica distaccava e non di poco gli altri temi.
Da quel giorno non nascondo che davanti al capo in B (specialità triestina), al cornetto e al giornale non ho potuto fare a meno di "tirare l'orecchio" ascoltando dagli altri tavoli l'attendibilità nella vita vera di quel sondaggio. Confermato.

Figuriamoci quindi se entra nella nostra comunicazione di massa un ciclone come Bebe Vio: giovane donna, sportiva di livello mondiale e recentemente coinvolta in un viaggio di rappresentanza in USA del primo ministro Renzi.
Intendiamoci: politicamente non mi sembra una notizia rilevante, lei stessa con la purezza della gioventù si è smarcata da qualsiasi etichetta o bandiera, però è chiaro che suo malgrado Bebe è finita anche nelle pagine di politica oltre alle solite sportive.

Questo ha scatenato il miserabile che si nasconde in ognuno di noi e che spesso esce quando siamo davanti alla tastiera, accusando Bebe di sovraesposizione nel caso migliore o accuse di sfruttare la sua condizione, peggio ancora: offese.
Ovviamente le offese non meritano di essere neanche prese in considerazione, per le accuse se ne avrà voglia, ma non credo, ci penserà lei, sulla sovraesposizione invece sono d'accordo.

Bebe la puoi trovare in ogni momento sui social, spesso in radio e televisione, quindi sicuramente in questo momento è sovraesposta ma io spero che questo momento prezzemolo duri a lungo.

Bebe Vio, che potrebbe legittimamente piangersi addosso, è bella da vedere perché nonostante i segni visibili della sua malattia ha un viso e un sorriso ammaliante, ha la gioia della sua età, lo spirito vivace di una giovane atleta, l'ottimismo entusiasmante di chi vive un momento magico, la parlantina agitata e obiettivamente troppo veloce di chi ha tante cose da dire.
Bebe Vio è un esempio, Bebe Vio è energia e Dio solo sa di quanto ne abbiamo bisogno, sovraesponete Bebe ve ne prego. 

venerdì 14 ottobre 2016

Non si cerca per trovare, si cerca per cercare.

prima bozza di stampa

prossima idea

prima stampa definitiva

prima stampa lastra grande

prima stampa lastra piccola

lastre complete

lastre complete

lastre complete

incisione

incisione completa e attrezzo

incisione completa

giovedì 29 settembre 2016

Ottobre, parentesi cestistica.

Ottobre.
Dopo cinque/sei settimane di sudore tutto o quasi tutto è pronto.
La serie A1 e A2, sono vecchio per ricordare le nuove denominazioni, sono ai nastri di partenza.
La massima serie si presenta più o meno nella stessa maniera degli ultimi anni con l'Olimpia Milano protagonista scontata e le altre con strategie diverse che cercano di sgambettarla.
Per fortuna a creare problemi all'AJ ci pensa l'AJ, almeno così la pensa chi imbratta questo foglio; ma come si fa a spiegare la lavata pubblica di panni sporchi e la delegittimazione al capitano da parte dell'uomo forte della società, se non una tafazzata incomprensibile? Illustri ex scarpette rosse in maniera più diplomatica, ma mica tanto, hanno definito il fatto come "la peggior strategia motivazionale di sempre".
Dietro Avellino, Venezia e Reggio Emilia sembrano le più competitive; per il resto si punta sull'effetto  sorpresa, chi ha pescato buoni USA che stanno bene assieme sarà a ridosso delle prime, le altre lotteranno tra metà classifica e zona retrocessione.
Non so perché ma questo via vai di giocatori spesso mediocri che segna il bene o il male della stagione delle societa', negli ultimi anni lo chiamano programmazione o progetto.
Al piano inferiore, aria migliore, molti italiani giovani e meno hanno deciso di valorizzare il secondo campionato nazionale alzando di molto il livello.
Nobili piazze, senza fare inutili liste, il ritorno del derby di basket city, molti team che puntano all'unica promozione disponibile, sono elementi che alzano di molto l'interesse e la pressione che ha portato alcune società a cambiare o a puntellare l'organico proprio alla vigilia della prima giornata.
In tutto questo baillame non possiamo dimenticare che questi campionati sono il più ampio serbatoio della "nazionale più forte di sempre" o "la nazionale più forte di sempre, sulla carta" non ricordo bene, ma l'ho sentito dire non è farina del mio sacco.
Buon basket.

martedì 23 agosto 2016

BOLLE DI SAPONE



Faccio bolle di sapone.

Inizio al mattino con il sole e mi fermo solo quando vedo la luna e sono stanco.

Marina, Cinzia e Paola le mie amiche in bianco mi dicono che da quando faccio le bolle sono molto più tranquillo e bravo, anche se qualche volta si arrabbiano perché non torno a mangiare.

A volte quando soffio a lungo escono un sacco di bolle dal cerchio rosso di plastica, e prima di vederle scoppiare riesco a dare un nome a tutte.
Mi piace vederle volare sopra gli alberi, hanno un sacco di colori e con il vento sembra che danzino.

Da quando faccio le bolle di sapone, posso uscire non solo dalla camera ma anche dal giardino, vado spesso al parco, ho la mia panchina dove appoggio il vasetto col sapone e inizio a soffiare.

È bellissimo vedere gli alberi e il cielo attraverso le bolle.

Oggi vado alla fortezza della mia città, la salita per salire parte proprio dal parco, vicino alla mia panchina.
La salita è ripida, mi manca il fiato, spero di recuperarlo per le bolle, quando arrivo cerco le scale per arrivare sulla torre più alta così le bolle non avranno ostacoli per andare in cielo.
Dalla torre della fortezza si vede il mare, non mi ricordo da quanto tempo non vedevo il mare, e attraverso le bolle e' ancora più bello.

Forse adesso il mare mi piace più delle bolle.
Le bolle volano, fanno una strada molto più lunga di quando sono al cortile sembrano molto più forti e resistenti, alcune vanno così lontano che non riesco neanche a seguirle e vedere quando scoppiano, secondo me arrivano fino al mare.
Forti e resistenti, forse possono anche reggermi fino al mare, se soffio piano e a lungo ne escono tantissime magari mi posso stendere sopra e farmi portare, se va bene arrivo al mare, male che vada vado in cielo.

martedì 28 giugno 2016

IL FIASCO

A Tullio e Silvio.


IL FIASCO

Chissà se Il signor Marino quando ha aperto questa bettola era poco fiducioso sul successo oppure semplicemente ha pensato di chiamarla con le cose che più si notano sulle mensole e nelle vecchie credenze massacrate dai tarli.
Sta di fatto che il Fiasco, ragione sociale: locale di mescita, è qui da una settantina d'anni e adesso ci sono io, che lavoro da solo per limare le spese.
All'inizio della sua storia questa piccola gabbia in riva al mare era niente altro che un piccolo ufficio dei pescatori, poi la folgorazione del Marino, e la trasformazione: via gli schedari, le inutilizzate macchine da scrivere e la cancelleria e dentro un calcio balilla, un paio di botti di vino, una macchinetta del caffè e un po' di salame, formaggio e vista la location (come dicono quelli bravi) del pesce azzurro sott'olio o con la cipolla.

Con il tempo i pescatori si sono spostati in zone più attrezzate al loro duro lavoro, ma il Fiasco è rimasto, qualche gestore precedente ha cercato, con scarso successo, di mutarlo in un locale Vip con ostriche e champagne, qualcuno più lungimirante ha combattuto con le carte bollate per ottenere dal demanio uno spazio esterno per poter bere un buon vino locale godendo del tramonto sul mare.
Per farla corta ora mi trovo questo chiosco con una decina di tavolini coperti da grandi ombrelloni che oltre a regalare l'ombra proteggono dagli improvvisi acquazzoni estivi.

Chiuso solo al lunedì, e neppure sempre, obiettivo del business plan è fare almeno cento giorni di buoni incassi da maggio a fine settembre.
Il merito che mi prendo è di aver aperto la porta ad una nuova clientela senza perdere i fedelissimi, e aver reso il Fiasco anche un luogo di visita turistica sfruttando internet e i social network.

La giornata tipo è sempre simile: la prima metà mattina è dedicata alla preparazione del locale, posizionare i tavoli e le sedie sempre a favore di sole, preparare gli stuzzichini e un controllo delle scorte nei frighi e del minuscolo magazzino.
Lavori di fatica interrotti da qualche ordinazione di un veloce caffè, poi al vicinarsi dell'ora di pranzo i prosecchi, vino e acciughe, cavalli di battaglia del Fiasco.

Sistemando le ultime sedie e le ambitissime sdraio vintage, noto due anziani che si avvicinano all'ultimo tavolo, quello più vicino al mare.
Solitamente detesto i clienti che con tutti i posti liberi scelgono proprio quello più lontano ma in questo caso, e non so per quale motivo, i due vecchi mi fanno tenerezza e simpatia.
Hanno facce strane che non riesco ad inquadrare, solitamente sono fisionomista, ma con loro è diverso mi basta andare a prendere i due malvasia che mi hanno chiesto per dimenticarne i connotati.
Torno al loro tavolo con i bicchieri pieni, il locale è vuoto, in maniera del tutto istintiva mi siedo con i due vecchi e in silenzio li scruto, non sorridono ma hanno visi rilassati, non sono per nulla sorpresi dalla mia improvvisa compagnia, anzi.
Uno mi ricorda Hemingway nella famosa foto con la dolcevita, l'altro ha un viso lungo e gli occhi lucidi, un baffo folto su una barba rasa e un consunto cappellino in testa.
Hemingway dice di chiamarsi Tonio, precisa che non è un diminutivo ma il suo nome di battesimo, l'altro Salvo, ma chissà perché tutti lo chiamano Lauro.
Tonio è più loquace, ma sono parole vuote, di circostanza; Salvo è arrampicato al suo bastone e sembra distaccato dal discorso, tutti e due sorseggiano il bicchiere con una certa esperienza.
Entrambi hanno un cane accucciato sotto la sedia, Fido per Lauro e Buch per Tonio.
Mi destano una curiosità morbosa, ma da loro ottengo poco, li vedo emozionati e taciturni, sono sicuro che hanno molte cose da dirmi ma percepisco reticenza.
Salvo Lauro mi dice che lui era un manovale, ma anche un contadino ha avuto una moglie ed ha tre figli, Tonio aveva una bottega ma sul lavoro preferisce glissare e anche sulla vita privata, si capisce che è stato sposato più di una volta e a me parla solo del suo primo figlio, che ultimamente ha visto poco e solo alla domenica mattina.

I bicchieri vuoti al tavolo non sono pochi, ma ne ordinano altri due, ripongo nel vassoio i "morti"per depositarli in lavastoviglie. 
Oggi mattinata magra, faccio una bozza di conto per i miei amici, decido per un forte sconto e porto gli ultimi due bicchieri, ma le sedie sono vuote, dò una passata di straccio. Tutto sommato è stato bello conoscerli anche se per poco.



venerdì 24 giugno 2016

Al bar



Quanto costa un caffè?
Per lei cinque euro.
Allora fallo per qualcun altro.

Ernesto, arzillo pensionato di banca, ogni giorno venti minuti dopo l'apertura, entra in bar e senza salutare mi fa sempre la stessa domanda, io mi faccio trovare pronto e rispondo di conseguenza, il siparietto si chiude con la sua saggia, ironica e spiritosa chiosa e un po' di spiccioli "per un gelato alla tua bimba".

Le mie giornate iniziano sempre così indipendentemente se fuori fa freddo o caldo, se la luce estiva ha già illuminato il giorno o se il gelido buio non dà tregua.
Poi le mani e la mente devono volare, tra capuccini ed espressi, brioches e la novità dei cestini alla frutta con la gelatina. Le prime due ore lavoro da solo, solo dopo arriva Cristina, ormai solo Cris per tutti i clienti del bar.

Dopo Ernesto, il ritmo è sempre lo stesso: i dipendenti delle attività vicine, alcuni studenti, e poi la truppa di mamme casalinghe che hanno consegnato i pargoli alle maestre e ora vengono a sviscerare di cucina, politica e cronaca rosa.

Tutti occupano sempre la stessa sedia e lo stesso tavolo e quando qualche cliente occasionale, quindi ignaro, arriva prima e si prende un posto scombinando le carte vedi scene di disagio, occhiatacce, febbrili attese.
Il forestiero se ne rende conto, velocizza la colazione paga ed esce, da lì parte un domino finché tutti sono finalmente alla loro postazione e l'inizio della giornata è preservato.

Il plotone di mamme è spesso coadiuvato dalla compagnia delle vedove, e anche da qualche battitore libero che spesso si aggrega per lo spietato radiogossip.
Nessuno ma proprio nessuno la passa liscia, da Mauro il calzolaio e le sue chiacchierate pratiche sessuali con la moglie in una camera da letto sempre troppo affollata, a Nosferatu il principe delle tenebre, un uomo di una quarantina d'anni di cui si sa poco allora si cerca di immaginare; l'aspetto è obiettivamente inquietante, pochi capelli sparati a caso, un mento esageratamente sporgente, occhi di un azzurro intenso e sempre spalancati, e la faccia sempre paonazza.
Vestito elegante casual, principalmente con pantaloni e giacca marroni, e sempre ai piedi delle vecchie ed usurate clarks.
Le indagini su di lui hanno dato pochissime informazioni, sembra sia un intellettuale belga, sposato con una del posto, sicuramente ha un bambino piccolo perché sulla bicicletta è posizionato un seggiolino.
È brutto, molto brutto, ma questo alone di mistero desta interesse alle megere, e le frasi più inflazionate sono: "non è bello ma è interessante" oppure la classica "è un tipo", fosse il dirimpettaio il giudizio sarebbe impietoso.

Intanto è arrivata Cris, che porta sempre allegria, saluta tutti e si ferma solo un attimo per un abbraccio ad Ernesto che intanto ha finito la lettura attenta e scrupolosa di almeno due quotidiani, ed ora butta in maniera superficiale l'occhio sulla gazzetta sportiva, prima il dovere poi il piacere.
È praticamente pronto il cambio della guardia, studenti e pettegole lasciano il posto ad impiegati ed operai, i croissant ai panini caldi, tramezzini ed insalate, il caffè a qualche birretta e ad un esercito di bottigliette d'acqua minerale.
La pausa pranzo è anche il momento dei saluti di Ernesto, che a mezzogiorno non rinuncia alla zuppa di verdure che nessuno fa come dice lui, facendo sciogliere le croste di grana e lasciando gli ortaggi a pezzettoni perché "a mangiare con la cannuccia ci penserò all'ospizio". Finita la zuppa tornerà per l'aperitivo serale.

Il pranzo ha solitamente tre cambi tavola, tempi veloci, intensi, il tutto si svolge in massimo un ora e mezza. Nel momento del conto alla cassa, Cris butta le vecchie tovagliette di carta e ne mette di nuove con tanto di sacchetto con le posate, questo lavoro lei lo chiama shift forse a memoria delle sue giovanili esperienze stagionali all'estero.
Ancora un paio di caffè per chiudere il pranzo, poi un po' di pace dove con Cris pianifichiamo i menù, riordiniamo il piccolo magazzino, rimpolpiamo i frighi e gli scaffali (lei dice refill, forse a memoria...).
La lascio dietro al bancone e vado in quello che i miei amici chiamano il giardino, niente altro che il marciapiede dove ho potuto sistemare una mensola per appoggiare i bicchieri, due tavoli di quelli alti abbinati a quattro sgabelli e una fioriera, fumo la mia unica sigaretta della giornata.
Cris vende un po' di gelati ai bambini, quelli che io continuo a chiamare ricoperti ma ora sono magnum, e poi prepara il solito latte e menta che ho visto bere solo a mia sorella e a Regina detta la talpa per i suoi spessi occhiali, proprietaria di metà degli appartamenti e dei locali della zona.
"Ciao Queen, solito green milk?" Forse a memoria...

Poco prima dell'ora dell'aperitivo, Cris parte in quarta, è il suo momento, io nonostante sia il titolare, sono un gregario.
Riempie di arachidi dei grandi vasi agli estremi del bancone, mette in bella vista i vini frizzanti, l'aperol e delle birre pregiate, taglia i tramezzini, le pizzette e i panini, riempie ciotole di patatine.
Come sempre nego a Cris di fare l'happy hour, forse a memoria...

Torna Ernesto, che alterna giornalmente l'alcolico e l'analcolico, arrivano molti miei amici che hanno lasciato l'ufficio e slacciato la cravatta, Cris è un animale da aperitivo, parla con tutti, mescola vini e liquori, incassa e ringrazia, spesso ho la sensazione di intralciarla.
Approfitto per oltrepassare il banco, mi occupo di recuperare i bicchieri e intanto faccio pubbliche relazioni, offro stuzzichini e prendo gli ordini: praticamente chiacchiero con gli amici.

Chi va a cena, chi a calcetto o in palestra.
Io, Cris ed Ernesto beviamo assieme una bibita e finiamo gli stuzzichini, sistemiamo le sedie e i tavoli, mentre Cris passa lo straccio sul pavimento. Ernesto insiste per pagare l'aperitivo ma la mano che ci dà è più che sufficiente.

Serranda chiusa, pronti per il telegiornale, Cris ci saluta "see you tomorrow", forse a memoria...io ed Ernesto andiamo verso casa sua, mi concede di parcheggiare la macchina nel suo cortile condominiale, stretta di mano e solito scambio "a domani ragioniere" "fa il bravo, barman".

Nonostante sia primavera, la mattina è fresca, il posto macchina di Ernesto è occupato dalla piccola utilitaria della figlia che vive in un paese ad ottanta chilometri e non si vede mai, fortunatamente non distante dal bar trovo un posto non a pagamento.
Entro in bar, accendo la macchina del caffè e lo scaldavivande, aspetto il fattorino del fornaio, sono passati i solito venti minuti, ma di Ernesto non c'è traccia.
Dopo poco entra la figlia, non ci conosciamo, è visibilmente provata, singhiozzando mi ordina un caffè, lo preparo. Beve, paga e se ne va.
Chiudo la cassa e la porta, riabbasso la serranda, mando un messaggio a Cris che sta ancora dormendo, le comunico che per due giorni il bar è chiuso per lutto e che la richiamerò per spiegarle meglio, non faccio in tempo a mettere il telefono in tasca che gli squilli dilaniano il silenzio di quella mattina ancora giovane.
"OMG! What's happened?"
Forse a memoria...

lunedì 30 maggio 2016

Parentesi cestistica con Denzell Washington


Questo sarà probabilmente un articolo contorto e slegato, inutilmente prolisso e spesso fuori tema, ma può succedere quando leggi o vieni a sapere qualcosa che in te scatena pensieri che ti sembrano collegati in maniera forse troppo semplice; allora arrivi a casa e provi a spiegare la tua elementare logica a tua moglie che però non ha le tue stesse esperienze e priorità e ti guarda con la faccia stralunata e preoccupata, ti prepara una camomilla, ti mette la copertina sulle ginocchia e ti cerca di convincere a vedere un film con Denzell Washington.
Poi, lei, matematica al servizio della psicologia, che entra nei meandri del cervello per ottenere poi una semplice equazione alfanumerica magari anche ti ascolta per deformazione e interesse professionale ma poi grippa, e ripone tutto nella speranza e nella provvidenza quando inizi a parlarle di Gianmarco Pozzecco, Manuel Olivo, Nicolas Laprovittola, Leo Westermann, Stefano Tonut e Michi Ruzzier.
Gli amanti della palla alla spicchi conoscono quasi sicuramente cinque di questi sei nomi, chi invece è di Trieste e ha superato almeno gli otto lustri conosce tutti quanti.
Per completezza sono sei esterni, cinque playmaker.
Ma in questo pezzo sono solo dei pretesti per elaborare il mio intricato pensiero.
Iniziando da Gianmarco Pozzecco, voglio premettere che io non sono un tifoso del Poz, ma un fanatico, e proprio per questo carpirete cosa penso di Olivo.
Chi è Olivo? Un play triestino scuola Don Bosco (altri passati di la'? Attruia, Scabini, Lokar, Pecile per citare a memoria chi ha fatto la A) coetaneo del Poz.
Strutturando una proporzione matematica si potrebbe serenamente dire: Poz sta (strameritatamente) alla Nazionale e alla summer league NBA come Manuel Olivo sta ad una soddisfacente e remunerata carriera di serie A.
Non so cosa abbia negato ad Olivo di diventare un giocatore professionista, ma credo di poter dire che in quegli anni Trieste ha perso un'occasione di crescere una stella di casa, come purtroppo tante altre.
Ecco: forse è questo il succo di queste righe le occasioni perse, la scarsa lungimiranza, la poca fiducia del profeta in patria.
Sia chiaro io ora scrivo di Trieste perché è la realtà che meglio conosco ma mi immagino che in qualsiasi città dove il basket è culto tanti propongono lo stesso ragionamento.
Anzi posso allargare il mio pensiero a latitudini diverse  e qui entrano in gioco le letture scatenanti che vi accennavo a inizio pezzo a anche gli altri due play che ho nominato: Laprovittola e Westermann.
Un argentino ed un francese.
Si parla di nazioni che appartengono all'elite mondiale della palla a spicchi ma onestamente non mi sento di definirle due scuole di basket. 
Anche i due giocatori sono probabilmente due professionisti esemplari e tecnicamente validissimi ma è possibile che le due maggiori squadre della Lituania, culla del krepsinis, Lietuvos Rytas per il gaucho e Zalgiris per il galletto, negli ultimi due anni affidino alla regia a loro?

Ho sempre pensato presuntuosamente di essere competente ma ho applicato l'autocritica accettando di essere un romantico quindi con valutazioni più figlie del cuore di tifoso che dell'occhio del tecnico. 
Poi però dei ragazzini che sono passati per casa mia hanno ribaltato tutto e mi hanno fatto capire definitivamente che Nemo può essere profeta in patria e che è possibile sfondare definitivamente in un mondo dove preferiamo l'esotico, o forse è solo ostaggio dell'inciucio tra società, procuratori e affini.
Concludo quindi con i complimenti a Stefano Tonut e con la considerazione che Michi Ruzzier in qualche frangente qualcosa di meglio di Green avrebbe potuto fare, nel pur ottimo play off della Reyer.
Senza polemica, con convinzione e romanticismo, intanto hanno ferito Denzell Washington ma sta bene.

Inviato da Yahoo Mail per iPad

mercoledì 16 marzo 2016

Vado in città!

Ieri sono venuto a sapere da un amico che vive in Italia che a Bruxelles c'è stata un' operazione della polizia belga coadiuvata da quella francese con l'obiettivo di arrestare alcuni terroristi probabilmente coinvolti nei vili atti parigini dello scorso novembre.
L'amico mi ha chiamato chiedendo se qui a Gent è tutto regolare.
Fa piacere sapere che qualcuno ti pensa, fortunatamente ho potuto tranquillizzarlo, il quartiere di Bruxelles interessato, Forest, e' al sud della capitale belga e dista sessanta chilometri da dove vivo io.
Qualcuno penserà che i sessanta chilometri sono un'inezia, anche il mio amico la pensa così altrimenti probabilmente non si sarebbe preoccupato, ma io sono di Trieste, e per qualsiasi triestino quella distanza è assolutamente di sicurezza, un viaggio da preparare con cura.
Trieste dista sessanta chilometri da Manzinello, ma non troverete una sola persona che passeggia per piazza Unità che conosce questa località.
Un triestino fa sessanta chilometri per andare in vacanza a Grado, ridente località termale e marina celebre per i fanghi con cui si curava Roberto Baggio oppure può decidere di fare una follia e preparare con scrupolo una gita in giornata andando alle grotte di Postumja in Yugoslavia, anzi Yugo; a Trieste siamo pacifisti e ce ne sbattiamo altamente (in dialetto "gnanche pel cul") della guerra, della Slovenia, della Croazia, delle Serbia, della Bosnia, del Montenegro  e della Macedonia, resterà sempre Yugo, luogo ideale per comprare sigarette e fare benzina.
D'altronde se tu abiti a Borgo San Sergio, quartiere periferico a massimo quindici minuti di bus, e decidi di andare a comprarti un paio di scarpe in centro, fai capire di essere prossimo ad un percorso impegnativo dicendo: vado in città, ci vediamo dopo.
Oppure se vivi a Muggia, pittoresco comune diviso da Trieste da Rio Ospo, un rigagnolo che un cane può replicare in qualsiasi angolo della città dirai solennemente: vado a Trieste!
Per molti anni io ho sguazzato nel mondo del basket, prima da modesto giocatore di settore giovanile poi come allenatore ed istruttore.
Posso assicurare che le trasferte non superano i dieci minuti di scooter. Una partita tra Libertas e Bor, società storiche triestine, si può svolgere sul lato destro del marciapiede se in casa gioca il Bor su quello sinistro se gioca in casa la Libertas.
Il Sokol Aurisina e le squadre di Muggia sono quelle più detestate ma non per una particolare antipatia o per una loro tradizione vincente ma perché ti costringono ad un'importante gita fuori sede. 
Quando ti consegnano il calendario delle gare la prima cosa che guardi non è: quando incrocio quelli forti? Ma quando devo andare ad Aurisina? Prendi un pennarello rosso e il calendario e cerchi quel maledetto giorno.
Insomma sessanta chilometri sono per un triestino qualcosa che ti fa sembrare tutto molto lontano, estraneo al tuo quotidiano, la distanza per noi è molto diversa dal milanese per esempio che vive normalmente la pendolarita'.
Per noi distanza è viaggio. Un amico l'altro giorno mi ha chiamato verso le sette di sera e mi ha chiesto che ora è da me, ho spiegato che siamo ad un'ora di aereo quindi non cambia nulla, la risposta è stata: cacchio, un ora di volo...
Comunque a Gent tutto tranquillo, siamo ad oltre sessanta chilometri da Forest, Bruxelles.

mercoledì 9 marzo 2016

Mutamenti

Tutto è iniziato con quella visita di routine dal medico, erano ormai dieci giorni che vedevo la mia pelle squamarsi, diventare dura e ruvida e in qualche parte la normale peluria diventare ispida, nessuna crema mi ha aiutato, e anche il dottore e' sembrato titubante, ho fatto tutti gli esami possibili.
Nell'attesa del risultato, mille test non invasivi, ma niente: il mio stato di salute perfetto, nessun fastidio, nessuna febbre, nessun dolore.
Solo dopo un attenta analisi di un luminare svedese in contatto col mio medico e specialista in malattie rare, con nozioni di veterinaria, il definitivo responso: soffro di grufalite, ossia un progressivo, lento, e non si sa quanto completo passaggio del mio essere uomo al nuovo stato di maiale.
Il terzo caso al mondo, il primo negli anni trenta fini' dentro un circo itinerante e si umiliava davanti alle famiglie con le sue orecchie e la sua coda, punti finali della sua forma leggera della malattia. 
Ritiratosi dalle scene mori' in solitudine in una fattoria della campagna polacca, e il chiacchiericcio dei vicini su quello strano personaggio sempre chiuso in casa era vario, chi diceva che era grasso e rosa con il classico naso da porco, chi invece affermava che si potevano notare solo le famose orecchie e la coda che lo hanno aiutato a monetizzare al circo.
L'altro è ancora vivo, in una porcilaia in Australia.
Come si può capire dalla sua casa la forma di grufalite è acuta, da un paio d'anni ormai gli unici dati possibili sono quelli, del sangue, saliva, magari qualche atteggiamento ma nessuna testimonianza diretta. Non comunica più, anche se qualche cervellone studia alcuni movimenti del muso per cercare una forma di dialogo più completa.
Personalmente non sento particolari sintomi o disfunzioni, talvolta nei giorni di pioggia sento un istinto che mi dice di tuffarmi nelle pozzanghere e rotolarmi nel fango, ma credo sia più una mia suggestione, quando ero inconsapevole della malattia questo istinto non si manifestava. O magari è vero che superati i quarant'anni si torna un po' bambini e riemergono quei piccoli strappi alla regola, quelle disubbidienze, la voglia di proibito e probabilmente la grufalite non c'entra nulla.

Ammetto di non rispondere ai messaggi dell'amico Odo, cerco di evitarlo.
Lui è il re del barbecue, e' quello che ti scrive solo: salsiccia, birra e rutto libero?
Non mangio carne di maiale dal giorno della diagnosi, non ho particolari sensazioni e il medico mi dice che non ci sono controindicazioni, ma non mi sembra eticamente corretto poi ho sempre paura di trovarmi in piatto l'australiano.

Non ho detto nulla della malattia a nessuno, mia mamma impazzirebbe, già ora mi telefona due/tre volte al giorno per informarsi sul mio eritema che secondo lei diventerà sicuramente fuoco di Sant'Antonio. Io le ho assicurato che è solo una reazione allergica alle fragole. Ho mangiato fragole due volte, pochi anni fa, da piccolo mi diceva che mio padre era allergico e quindi geneticamente potrei essere predisposto, quindi vietate. 
Però la mossa ha dato i suoi frutti, infatti ora per lei è tutto chiaro, l'eritema da fragola è tutta colpa mia: quante volte ti ho detto di non mangiare le fragole?

Frequento una mia ex collega, eravamo giovani, io neo assunto lei stagista e brillante studentessa, dopo la laurea e' andata a lavorare in un'altra azienda e ci siamo incontrati in una famosa fiera di settore, due chiacchiere, tanti ricordi, qualche risata, mille domande e alla fine il mio invito a cena. Accettato.
Anche a lei tengo nascosta la mia possibile parziale o totale mutazione, non ha personali opinioni sulla mia orticaria, mi chiede l'esito delle visite, ascolta e fa domande, per non tradirmi cerco di dare meno informazioni possibili, faccio il vago, minimizzo.

Ieri mi ha invitato da lei, appena uscito dall'ascensore ho visto la porta dell'appartamento socchiusa, già dal corridoio si notava la penombra e si sentiva una  musica soft messa per creare atmosfera. Per la penombra bisogna ringraziare quella decina di candele messe scientificamente attorno al divano, per la musica uno di quei grandi vecchi stereo portatili e un cd probabilmente masterizzato. 
Si è presentata elegantissima con un vestitino nero a tubino che sembrava pennellato al suo corpo, fresca di messa in piega e make up, a piedi scalzi perché sa che al contrario di tanti uomini detesto i tacchi a spillo, in mano una bottiglia di champagne e due flutes.
Ci accomodiamo sul divano, facciamo un brindisi, dopo aver appoggiato i bicchieri ci baciamo, l'atmosfera si scalda ma appena le mie mani si muovono sul suo corpo sento il brusio di un proiettore e sul grande muro di fronte a me una scritta: mi vuoi sposare?
Mi blocco con una mano sul suo seno, lei sorride e guardandomi negli occhi pronuncia le uniche parole che non volevo sentire: allora? Cosa ne dici?
Trenta secondi di silenzio che sembrano tre ore, sono un tempo sufficiente per far cambiare la sua espressione, abbassa gli occhi verso la mia mano ancora ferma sullo stesso posto, la toglie, mi spinge e urla: porco! Maiale! Stai con me solo per quello.
Corro in bagno, controllo il mio viso, il mio eritema, tutto ok. 
Esco per l'ultima volta da quell'appartamento.

mercoledì 17 febbraio 2016

Buon ritiro

Umberto è uno dei pochi pensionati non felice di esserlo, a lui non basta il caffè e i giornali del bar al mattino, non ha cani da portare a pisciare.
D'altronde nel suo passato ha avuto una vita frenetica, fatta di viaggi, voli per lo più interni ma continui, incontri e si dice qualche bella donna.
È obiettivamente difficile passare da un giorno all'altro da un vortice alla calma piatta.
Nella sua vita ha fatto di tutto: aspirante medico, cantautore, editore e con l'ardore giovanile il rivoluzionario comunista ambientalista, ma anche il modello di canottiere vintage, allevatore di avannotti.
Quello che però lo ha reso benestante è stata la sua capacità di imbonitore, ispirato da un suo grande amico, ma per tutti e due l'età avanza e lo smalto non è più lo stesso.
Ha piazzato di tutto, e' stato capace di accumulare i danari necessari per mantenere un ottimo stile di vita per lui e la sua famiglia.

Ora passeggia per il suo paesello in riva al lago, i suoi fedelissimi lo salutano con affetto e magari un po' di tenerezza, ricordando i fasti del passato, la grinta, la voce roca che rimbombava tra la gente.
Quando si ferma seduto su qualche panchina all'ombra a distribuire molliche di pane ai piccioni, qualche coetaneo gli porta il giornale, lui ringrazia ma lo legge malvolentieri, prova un po' di invidia verso quello definito il suo successore che riempie le prime pagine come faceva lui.
"Sto ragazzetto pensa in grande, vendere ruspe non è facile" pensa quando sfoglia le pagine.
Il suo passare la giornata viene sempre interrotta dal suo telefonino, quello con i tasti grandi:

"papà, sono in fattoria, ho un po' di carote, sedani e patate..."Ma lui lo interrompe "grazie, sono a posto così, ci sentiamo."

Non riesce a nascondere la sua malinconia, cerca di tenere davanti agli altri la sua fierezza, ma il cuore e' pieno di delusione, si sente tradito e abbandonato dalle stesse persone che lo portavano in palmo di mano, quelli che facevano la fila ogni anno per comprare ampolle d'acqua da portare a casa o in ufficio, in controtendenza con i normali boccioni che ora vengono messi negli angoli dietro ai computers o vicino al frigo.
Passeggia e borbotta e puntuale il telefonino squilla: 

"Papà sono in fattoria, ho un po' di carote, sedani e patate..."ma lui lo interrompe "grazie, sono a posto così, ci sentiamo" 

A lui piacerebbe passare all' osteria per giocare un po' a carte con gli altri ma il lato negativo della popolarità lo deve pagare, non è ben voluto da tutti, lo sa, e mantiene una certa discrezione, ma ciò gli pesa.
L'alternativa dei cantieri, ambita da molti pensionati, a lui non è gradita. In fondo grazie alla sua attività e alle sue amicizie quei cantieri lui li commissionava ora andare lì a vedere gli extracomunitari (che non vede di buon occhio!) a riempire la betoniera lo sente come una retrocessione, l'orgoglio del vecchio leone alla fine esce.

Quando il campanile batte mezzogiorno, come si usa in paese, si toglie il cappello e si incammina verso casa, e in questo momento che il suo pensiero vola al pomeriggio, come tirare sera? Cosa fare dopo il riposino del dopopranzo? Ama la televisione ma nello stesso tempo lo intristisce perché vede gente che non contava nulla che ora detta le regole al suo posto, preferisce mettere le vecchie vhs con lui protagonista.
Il pomeriggio passa tra play e rewind e viene interrotto solo dal cellulare con i tasti grandi. Come al solito è suo figlio. Ancora prima di dire pronto, con voce decisa: non mi servono né carote,né sedani, né patate.
Ma la risposta è sorprendente: no papà, volevo solo dirti che ho comprato una ruspa per la fattoria!
Vaffanculo, trota!


lunedì 1 febbraio 2016

DUUNKERKE

Dopo pochi chilometri d'autostrada arriviamo al parcheggio di un bel stadio da rugby. 

Finora di Duunkerke, dal finestrino di uno stanco ed usurato Berlingo, ho visto l'unico cimitero senza aiuole ma solo freddo cemento, un tennis club, delle industrie, alcuni centri commerciali e delle casette sparse in un panorama piatto e noioso.
Oltre al gia' citato Berlingo, ci seguono altri tre mezzi stipati all'inverosimile: bancali di legno, cibo, vestiti, giocattoli, materiale da cucina da campo e qualsiasi cosa puo' essere utile a chi vive nel fango e al freddo; materiale raccolto e preparato da gente di buona volonta' proveniente da qualsiasi latitudine.
Anche i passeggeri delle macchine formano una Babele mica da ridere, la maggioranza italiana e' felicemente contaminata da presenze spagnole, belghe e un bell' aiuto di un panettiere turco profuma le cabine delle vetture.

Il parcheggio dello Stadium du Littoral, e' curato, la struttura e' un autentico gioielllo, l'erba verde brillante, le H formate dai pali della porta del rugby attendono i coraggiosi e leali protagonisti di questo sport duro quanto elegante. E' paradossale davanti a tanto ordine, indossare qualunque abito e calzatura che limiti l'imbarcata di fango a cui stiamo andando consapevolmente incontro.

Mi aspetto una lunga fila di tende verdi e marroni, di quelle vecchie usurate ma ancora resistenti, quelle che i valorosi Alpini montavano nelle emergenze, quelle che ho usato da magazzino attrezzi quando facevo l'assistente alle colonie estive dei bambini, mi aspetto molto fango perche' ai miei amici che qua sono gia' stati e' la cosa che ha colpito di piu', poi onestamente non so piu' cosa pensare, non ho davanti a me un'immagine.

Poi un pugno nello stomaco. Quando mi dicevano Duunkerke e' un campo rifugiati con tende e niente altro pensavo una cosa ben organizzata seppur nella disgrazia e nell'indigenza, invece ti trovi davanti un campeggio improvvisato stipato di tende ad igloo di ogni dimensione, anche quelle da moto per una o due persone, i piu' fortunati hanno piazzato sotto un bancale, pallet per i piu' raffinati.
Il tutto ingoiato da un fango che non ho mai visto cosi' viscido ed agressivo, solo dove passano i mezzi dei volontari si riesce a camminare senza sprofondare.

I volontari fissi al campo muniti di radio cb portatili comunicano tra di loro ma la loro organizzazione  non e' proporzionata alla grande generosita' , tutto sembra improvvisato, prendiamo l'iniziativa e la cosa sembra accolta con favore.
Pallet, vestiti, scarpe, coperte e giocattoli nelle tende magazzino e allestimento di un veloce bancone per servire, the', caffe', cioccolato, frutta fresca e secca, qualche dolce.
Tutto viene assaggiato ed apprezzato ma l'impressione e' che ci sia bisogno piu' di cose semplici, di uso quotidiano, chi vuole il the' lo beve per scaldarsi ma anche per poter mantenere il bicchiere in plastica che puo' tornare utile in altre occasioni. Anche le cassette della frutta vuote sono ambite, sono un'ottima miccia per accendere un fuoco. 
Due fratelli, forse gemelli, di circa dieci anni, con in testa due ben visibili cappelli di lana hanno gia' puntato al fornello da campo con relativo gas, dopo averci fatto compagnia, aver bevuto una borraccia di the' esageratamente zuccherato, si meritano il trofeo, lo chiudono in una busta di plastica e lo portano alla mamma.

La luce del giorno inizia ad abbassarsi, le file per la cena ostacolano per un secondo la nostra uscita, la polizia mi controlla lo zaino, un ragazzo mi vede fare qualche foto, mi crede un reporter ma lo deludo subito, sono un semplice volontario, mi chiede un consiglio su cosa fare, e' iracheno e non sa cosa e' meglio per lui ed ha una gran paura di esser rispedito a casa, mi vergogno della mia ignoranza, gli dico cose che non gli serviranno, probabilmente lo deludo nuovamente. 
Noto una scritta su un piccolo muretto "good luck...my brother" e vicino dei prezosi stivali abbandonati.