mercoledì 2 aprile 2014

Bulova

Un martedi' mattina come tanti altri, Lia dopo aver versato qualche migliaio di lire per il biglietto, sale sul treno chiamato tecnicamente Italo ma che tutti da anni chiamano l'Adriatica.
Si parte alle sei e cinquantatre da Trieste con a bordo qualche pendolare, qualche studente e alcuni turisti nord europei che arrivano dalla costa istriana con la macchina, parcheggiano, e salgono in carrozza destinazione Venezia.
E' proprio li' nello snodo ferroviario del nord est che c'e' piu' movimento sia in uscita che in entrata, poi verso Bologna, prima di svoltare nuovamente verso il mare, Rimini, Pesaro, Ancona, Bari, Brindisi, Lecce le stazioni piu' gettonate.

Pendolari, turisti, migranti, studenti e lei, Lia, con l'occhio bagnato dal rimorso, per l'ultima volta guarda l'orologio, poi apre il finestrino e contro il regolamento scritto sulla targa posta sulla maniglia, si affaccia e lo lancia. Via il tempo passato, via la routine e la noia, con la consapevolezza di provare qualcosa di nuovo a quasi quarant'anni, ma nessuna sicurezza di andare verso il meglio.
La voglia di cambiare con la paura del nuovo, e' comunque un' emozione da provare.



Il tram tram di Bulova e' sempre lo stesso,  e le casalinghe fuori dalla panetteria, i pensionati al bar, e i passanti casuali non possono non notarlo, lo tengono sotto osservazione.
Mancano cinque minuti a mezzogiorno, e lui e' sotto il campanile che controlla le lancette, le fissa fino a quando mancano trenta secondi ai rintocchi, poi inizia il suo rituale, si toglie il cappello, chiude gli occhi, talvolta  si inginocchia, attende la fine dell'eco delle campane, poi riprende il suo girovagare.
Da adesso a sera inoltrata,  quando verra' vinto dall'ennesimo bicchiere di vino, guardera' il suo polso migliaia di volte, con l'indole e la preoccupazione del ritardatario cronico.
Al polso ha un vecchio orologio con quadrante ingiallito dal tempo e un cinturino con i fori allargati dall'usura, un orologio che non funziona e che forse da quando e' in suo possesso non ha mai funzionato.
Bulova e' il suo soprannome, aggiunto a Franco il suo vero nome, passando gli anni i piu' giovani hanno coniato Swatch e i vip del bar di tendenza durante l'aperitivo hanno ovviamente pensato a Rolex.
Lo conoscono tutti in citta' e chi non lo conosce e lo incrocia, quasi come un riflesso condizionato guarda l'orologio anche se non lo porta, tanto e' insistente il movimento di Franco Bulova.
Spesso ferma la gente chiede con un'unica parola: uattaimisit!, oppure dice frasi sconnesse e ripetute: "chi ha tempo non perda tempo-chi ha tempo non perda tempo" e altre che talvolta nemmeno si capiscono.

I giri sono sempre gli stessi, le stesse osterie, gli stessi bar per sfruttare un caffe' sospeso o scroccarne uno, il passaggio in canonica per elemosinare qualche euro e ai servizi sociali, per una giacca, un paio di guanti o un cappello nuovo.


I ragazzi maleducati che lo prendono in giro non li sente piu',  fa fatica a riconoscere gli amici di gioventu' adesso arzilli vecchietti che dedicano il loro tempo ai nipotini, al giornale, alla pulizia dell'utilitaria, ai cantieri dei lavori in corso e alle bocce.
Le loro giornate le passano cosi', tra una pelle di daino inumidita, un moccioso da spingere sull'altalena, una notizia di sport,  un infisso montato male.

Franco invece, guarda l'orologio, seduto al tavolino dell'osteria, beve gli avanzi di una brocca di vino rosso o bianco, cambia poco, alza la mano dopo aver sentito i vari: buonanotte Bulova.
Si sposta verso una panchina, appoggia il mento sul petto, e prima di chiudere gli occhi brontola:

Ma quanto e' lungo sto "torno subito" Lia?

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