Dopo Krugman scomodiamo Draghi, bentornato all'appuntamento economico settimanale del mitico coach K, grazie Roby.
WEEKLY PILLOWS
Falchi colombe e….Draghi
Mi ricordo, molti anni orsono (ahimè), di quando per farmi dormire mi leggevano le fiabe o, talvolta, mio padre le inventava. Una di quelle sere arrivò un personaggio nuovo e fantastico: un drago, essere incredibile, mostruoso, il “cattivo” per definizione, volava (forse) ma, sicuramente sputava lingue di fuoco.
Poi sono arrivati i cartoons e da killer spietato il nostro è diventato amabile pompiere, o quasi.
Per ultima, ma non meno importante, è giunta la Bce con a capo un italiano, il professor Mario Draghi. Ora se Grisù ispirava innata simpatia, la faccia del Presidente della Banca Centrale Europea è, quasi sempre, rubizza ma non perché frequentatore di “osmize” ma per le pressioni che l’uomo deve continuamente subire da falchi e colombe.
L’ultima ottava è stata ricca di accadimenti economici: il taglio dei tassi europei, l’incremento del PIL americano, il giudizio di Standard & Poors che, ancora una volta, si è abbattuto sui discendenti di Asterix.
Giovedì il professore ha deciso di ridurre il costo del denaro portandolo, all’interno della zona euro, dal precedente 0.50 all’attuale 0.25%, decisione contrastata e sofferta (da quando l’Italia è il “driver” della politica monetaria europea si tratta, inoltre, della seconda sforbiciata).
Ora chi bazzica i mercati conosce il detto : “Se gli Usa hanno il raffreddore l’Europa prende l’influenza”, per identificare la similitudine di comportamenti economici tra le due sponde dell’oceano, in questo contesto ciò non vale, anzi.
Assistiamo al “decoupling”: divergenza di comportamenti tra le due politiche monetarie.
In Europa Draghi si è sentito in obbligo di tagliare i tassi (in ritardo, a nostro avviso) per cercare di stimolare l’asfittica economia europea. Se, in teoria, i soldi costano meno è più facile per le imprese ricorrere all’indebitamento, investire produrre e far ripartire i consumi. La Germania, la solita virtuosa, ha manifestato il suo dissenso, con l’astensione al voto di 4 consiglieri, ma non ha potuto evitare (forse anche dopo l’affondo del Tesoro Americano) tale mossa. Chi scrive segue da lontano il Professore (i primi incarichi alla Banca Mondiale, la direzione della Banca d’Italia, ecc.) e riconosce come lo studioso sia attento a tutti i segnali economici.
L’inflazione europea al 0.7% in ottobre (il minimo da sempre) è suonato come un fortissimo campanello d’allarme nelle orecchie di Draghi, significava allarme deflazione. I prezzi anziché salire, scendono, causa un calo dei consumi e una situazione di produttività stagnante.
La possibilità che in Eurolandia si ripeta l’ecatombe giapponese (modelli economici indicano il tasso “ottimale” di inflazione pari al 2%), durata vent’anni ha spinto il Governatore, superando qualsiasi corrente, a tagliare subito i tassi. Questo, a nostro avviso, l’origine di tale scelta. Purtroppo ciò non basterà: i poteri della banca europea sono limitati, frenati dalla cancelliera teutonica e i maggiori soldi a disposizione non verranno messi in circolo a famiglie ed imprese ma detenuti, ancora una volta, dalle banche non assolvendo così alla loro funzione pubblica.
Il taglio dei tassi ha fatto crollare l’Euro (da 1.385 a 1.335) perché più essendo disponibile un bene (in questo caso la moneta) il suo valore si riduce. Le piazze finanziarie europee, al contrario di quelle americane, sono arretrate (Milano solo nella giornata di giovedì ha ceduto il 2%).
Negli Usa si assiste esattamente al contrario: per evitare eccessi la Federal Reserve sarà chiamata (e la scommessa si basa sul quando) ad aumentare i tassi ed avviare il tapering ovvero la progressiva riduzione degli acquisti di titoli di stato.
Forse fra diversi anni, prima della buonanotte, qualcuno racconterà la storia di quel professore italiano, ultimo baluardo dell’Europa che, come un’eroe combatteva con falchi e colombe…chissà…?
Poi sono arrivati i cartoons e da killer spietato il nostro è diventato amabile pompiere, o quasi.
Per ultima, ma non meno importante, è giunta la Bce con a capo un italiano, il professor Mario Draghi. Ora se Grisù ispirava innata simpatia, la faccia del Presidente della Banca Centrale Europea è, quasi sempre, rubizza ma non perché frequentatore di “osmize” ma per le pressioni che l’uomo deve continuamente subire da falchi e colombe.
L’ultima ottava è stata ricca di accadimenti economici: il taglio dei tassi europei, l’incremento del PIL americano, il giudizio di Standard & Poors che, ancora una volta, si è abbattuto sui discendenti di Asterix.
Giovedì il professore ha deciso di ridurre il costo del denaro portandolo, all’interno della zona euro, dal precedente 0.50 all’attuale 0.25%, decisione contrastata e sofferta (da quando l’Italia è il “driver” della politica monetaria europea si tratta, inoltre, della seconda sforbiciata).
Ora chi bazzica i mercati conosce il detto : “Se gli Usa hanno il raffreddore l’Europa prende l’influenza”, per identificare la similitudine di comportamenti economici tra le due sponde dell’oceano, in questo contesto ciò non vale, anzi.
Assistiamo al “decoupling”: divergenza di comportamenti tra le due politiche monetarie.
In Europa Draghi si è sentito in obbligo di tagliare i tassi (in ritardo, a nostro avviso) per cercare di stimolare l’asfittica economia europea. Se, in teoria, i soldi costano meno è più facile per le imprese ricorrere all’indebitamento, investire produrre e far ripartire i consumi. La Germania, la solita virtuosa, ha manifestato il suo dissenso, con l’astensione al voto di 4 consiglieri, ma non ha potuto evitare (forse anche dopo l’affondo del Tesoro Americano) tale mossa. Chi scrive segue da lontano il Professore (i primi incarichi alla Banca Mondiale, la direzione della Banca d’Italia, ecc.) e riconosce come lo studioso sia attento a tutti i segnali economici.
L’inflazione europea al 0.7% in ottobre (il minimo da sempre) è suonato come un fortissimo campanello d’allarme nelle orecchie di Draghi, significava allarme deflazione. I prezzi anziché salire, scendono, causa un calo dei consumi e una situazione di produttività stagnante.
La possibilità che in Eurolandia si ripeta l’ecatombe giapponese (modelli economici indicano il tasso “ottimale” di inflazione pari al 2%), durata vent’anni ha spinto il Governatore, superando qualsiasi corrente, a tagliare subito i tassi. Questo, a nostro avviso, l’origine di tale scelta. Purtroppo ciò non basterà: i poteri della banca europea sono limitati, frenati dalla cancelliera teutonica e i maggiori soldi a disposizione non verranno messi in circolo a famiglie ed imprese ma detenuti, ancora una volta, dalle banche non assolvendo così alla loro funzione pubblica.
Il taglio dei tassi ha fatto crollare l’Euro (da 1.385 a 1.335) perché più essendo disponibile un bene (in questo caso la moneta) il suo valore si riduce. Le piazze finanziarie europee, al contrario di quelle americane, sono arretrate (Milano solo nella giornata di giovedì ha ceduto il 2%).
Negli Usa si assiste esattamente al contrario: per evitare eccessi la Federal Reserve sarà chiamata (e la scommessa si basa sul quando) ad aumentare i tassi ed avviare il tapering ovvero la progressiva riduzione degli acquisti di titoli di stato.
Forse fra diversi anni, prima della buonanotte, qualcuno racconterà la storia di quel professore italiano, ultimo baluardo dell’Europa che, come un’eroe combatteva con falchi e colombe…chissà…?
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