Man mano che il tempo passa divento sempre piu' abitudinario.
Credo
di esserlo sempre stato, credo addirittura sia caratteristica di chi
nasce dalle mie parti, una specie di fissa del Dna mio e dei miei
concittadini.
A scandire i miei tempi e i miei ritmi, obbiettivamente lenti, sono gli impegni che ho fatto diventare cose consuete.
Amo le cose consuete, mi danno sicurezza, rispetto dei miei orari, equilibrio.
E'
inevitabile che coinvolgo nelle cose consuete chi mi sta vicino, su
tutti mia figlia che essendo ancora piccola non ha ancora nessuna
indipendenza se non quella del gioco.
La cosa consueta che a lei fa piu' piacere e' l'ora e mezza abbondante che riserviamo al parco giochi nell'immediato doposcuola.
Dopo
i saluti alle
maestre e ai compagni e un percorso in bicicletta di circa cinque
minuti ci fermiamo a Rabot, in un parco con una grande distesa d'erba
dove adulti giocano a calcio o fresbee, una torre con almeno cinque
canestri a diverse altezze, e dopo una leggera discesa la zona amata da
mia figlia.
Un
misto di giochi classici, tappeto elastico, scivoli, altalena, vari
animaletti a molla e dei labirinti fatti con tronchi e costruzioni di
legno.
Ovviamente
i primi sono frequentati dai piu' piccoli mentre sui tronchi si possono
trovare anche giovani universitari intenti a studiare.
Il
parco e' bello, si alternano panchine all'ombra e al sole, occupate da
arzille vecchiette che chiacchierano e ridono e ragazzi che smanettano
sugli smartphone senza neanche guardarsi, sara' banale ma a me ha
colpito; ovunque ci sono macchie bianche di margherite selvatiche, su un
tronco posto tra l'altalena e il trampolino usato dai genitori per
sedersi e controllare le creature, spesso troviamo una signora.
E' vestita sempre in modo simile e pesante per questa clemente
primavera.
I colori spenti e freddi dei suoi pantaloni e della sua giacca sono in contrasto con il parco, le margherite ed il sole.
Il viso e' sempre serio, gli occhi scavati, l'impressione e' di una persona molto triste.
Piu' volte siamo arrivati con i giochi deserti ma lei era seduta li' comunque.
Quando mia figlia giocando, ride e urla, mi sembra
di carpire nella signora un malessere. Li vuole sentire quei segnali
infantili di gioia ma nello stesso momento la fanno soffrire, il viso e'
sempre piu' crucciato, lo sguardo sempre piu' assente, a stento
trattiene le lacrime.
Ovviamente
la bimba non si accorge di tutto cio', anche perche' fino a prova
contraria tutto questo e'un mio ricamo mentale di quello che vedo,
potrebbe essere solo fantasia di osservatore.
Fatto
sta che e'cosa consueta vederla la' prima di tutti, seduta nello stesso
scomodo posto, con gli stessi vestiti, nella stessa posizione con le
mani
pronte a coprire talvolta gli occhi e con la lunga coda di capelli neri.
Penso alle sue cose consuete e come magari una variazione possa aver sconvolto la sua abitudine.
Lo
sceneggiatore piu' crudo potrebbe collegare la sua presenza fissa in
quel posto come l'aspettare quel nipote che per un'assurda tragedia, non
potra' mai piu' godere di quei giochi.
Io
voglio pensare pero' ad una situazione normale e comune a tutti, un
trasferimento o semplicemente un passaggio tra infanzia ed adolescenza
del nipote.
Chissa' se anche quel biscotto che addenta ogni qualvolta decide di alzarsi e' una cosa consueta.
A
volte mi piacerebbe vedere Giorgia, mia figlia, e qualche suo compagno
di giochi incrociare lo sguardo vuoto
di quella nonna e magari far scattare su quel viso provato un piccolo
sorriso per dare ancora un senso a quel suo rituale, a quella sua cosa
consueta.
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